La dinamica dell’attentato in Dealey Plaza

Se è vero che l’88% degli americani critica il Rapporto Warren, posso assicurare che il 99% di questi non l’ha letto.
Jim Moore, scrittore e ricercatore del caso Kennedy

Raccontare l’assassinio Kennedy è un gioco di equilibrio. Ciascuna affermazione può essere virtualmente discussa all’infinito – tanto che una circostanza apparentemente trascurabile, come potrebbe essere l’ora esatta in cui l’operaio Bonnie Ray Williams, uno dei colleghi di lavoro di Lee Oswald al deposito del libri, terminò il suo pasto a base di pollo, seduto sugli scatoloni di libri al sesto piano – ha formato l’argomento di un paio di monografie.

Una minima parte del pubblico conosce, anche solo sommariamente, gli atti delle inchieste e quasi tutti si basano sul sentito dire (un sentito dire che, tendenzialmente, attinge al repertorio complottista da spy movie, senz’altro più affascinante di una ricerca tesa a scoprire la verità). Altri credono di  aver capito tutto, magari perché hanno visto un paio di documentari sul caso Kennedy, oppure è rimasto loro il ricordo delle teorie strampalate (ma di primo acchito verosimili e, soprattutto, irresistibilmente seducenti) di Oliver Stone in JFK – Un caso ancora aperto. Ed è proprio questa la parte di pubblico più esposta all’insidia del finto tecnicismo, di quelle affermazioni che sembrano scientifiche e convincenti ma che, in realtà, non lo sono. “Quel vecchio e malandato Carcano di Oswald non poteva sparare tre colpi in cinque secondi”, “Non c’erano impronte di Oswald sull’arma, l’unica trovata fu prelevata dal suo cadavere”, “Quella pallottola che ferì Kennedy e Connally rimase integra, e certo non poteva zigzagare“, “La testa del presidente si è mossa all’indietro, segno di uno sparo frontale“, “Kennedy si serra le mani alla gola perché è colpito da davanti“. Sembrano rilievi sensati.

Tutti sono concordi nell’individuare il filmato girato da Abraham Zapruder, un sarto di Dallas che riprese l’intera scena dell’attentato tra gli spettatori del corteo presidenziale in Dealey Plaza, come base per la ricostruzione della sparatoria. La cinepresa di Zapruder registrò un filmato di 26 secondi su una pellicola da 8 millimetri. Di questi 26 secondi ne interessano, ai fini dell’assassinio, solo 19 che corrispondono a 354 fotogrammi. Il filmato permette di individuare tre fasi dell’attentato. Una prima, con il corteo che ha appena svoltato a sinistra da Houston Street in Elm Street, passando sotto il deposito dei libri scolastici in cui lavorava, tra gli altri, Lee Harvey Oswald. Una seconda, che vede Kennedy e Connally colpiti al corpo. Una terza, con la testa di Kennedy colpita in pieno.

PRIMO COLPO

Tra i fotogrammi 160 e 166 del filmato, indiscutibilmente succede qualcosa. Si sente un boato, diranno i testimoni (il film di Zapruder, naturalmente, è muto). Se ne accorgono alcuni spettatori in piazza; se ne avvede parte della scorta presidenziale che, istintivamente, si gira in direzione del deposito dei libri. Così una bambina, Rosemary Willis, che sta correndo sulla sinistra del corteo, al margine della strada: smette di rincorrere l’automobile e si guarda intorno. Racconterà di aver sentito un petardo esplodere. Se ne rendono conto tre operai che lavorano al deposito (Harold Norman, James “Junior” Jarman e Bonnie Ray Williams), affacciati ai finestroni dell’edificio per seguire il corteo dal piano di sotto rispetto a quello in cui si era appartato Lee Oswald. Tutti e tre rimangono esterrefatti nel sentire uno sparo (testimonieranno di averne sentiti tre), qualcosa che rimbalza sul pavimento sopra di loro (le cartucce espulse dal fucile), i calcinacci del soffitto che cadono loro in testa. Non ci sono dubbi: qualcuno ha fatto fuoco con un’arma.

Mr. BALL. Ha detto di aver sentito cemento caderle sulla testa?
Mr. WILLIAMS. Cemento, sassolini, calcinacci, qualcosa del vecchio palazzo, perché ha fatto scuotere le finestre e tutto quando. Harold (Norman) sedeva accanto a me, e disse che arrivava dal soffitto. Se vuole che le dica le mie esatte parole, posso farlo.
Mr. BALL. Prego.
Mr. WILLIAMS. Le mie parole esatte furono “E che cazzo!” Tutti e tre saltammo in piedi.

[Dalla testimonianza di fronte alla commissione Warren di Bonnie Ray Williams]

Però quel primo colpo, sulla base degli elementi a disposizione, si può affermare con certezza che non arriva ad attingere alcuna persona nell’auto occupata da Kennedy. Le successive indagini, evidentemente lacunose, non riusciranno a stabilire con certezza cosa accadde a quel primo colpo, permettendo ai teorici della cospirazione di ricamare sull’esistenza di altri sparatori, sistemati in vari punti della piazza. Poco dopo l’attentato, si presentò alla polizia un uomo, di nome James T. Tague (il celebre “terzo ferito di Dallas”, intervistato da johnkennedy.it). Tague non doveva assistere alla parata del presidente, si stava dirigendo lungo Commerce Street, per andare a trovare la fidanzata. Bloccato dal

Il frammento di marciapiede graffiato dal colpo deviato, nei pressi della posizione di James Tague.
Il frammento di marciapiede graffiato dal colpo deviato, nei pressi della posizione di James Tague.

traffico per l’arrivo del corteo, decise di scendere e attendere il passaggio del presidente. Subito dopo gli spari, un amico gli fece notare che si era procurato un lieve graffio sulla guancia destra. Un rapido esame del marciapiede permise di scoprire che un proiettile, o un frammento di proiettile, aveva colpito il cemento e che una scheggia aveva graffiato il volto di Tague. Questa circostanza è stata spesso utilizzata per dimostrare la presenza di un tiratore dalla collinetta. Il proiettile aveva perso la sua camiciatura in rame: sul marciapiede, sottoposto ad analisi spettrografica dall’FBI, furono trovate tracce di piombo e di antimonio.

Su questa circostanza si sono costruite teorie fantasiose: non poteva essere un proiettile sparato dal fucile di Oswald, si disse, perché in quel caso avrebbe dovuto conservare il rame della camiciatura. Ed era in ogni caso impossibile, si è pure sostenuto, che un debole ramo di quercia, deviando il proiettile, potesse aver fatto perdere la camiciatura a una palla full metal jacket. Purtroppo, il proiettile in questione non fu mai ritrovato. Né è stato analizzato l’asfalto davanti al marciapiede per cercare  tracce di impatto. La spiegazione più probabile è che il cecchino sparò quel primo colpo dalla finestra del sesto piano attingendo l’intelaiatura del semaforo tra  Houston ed Elm Street: una teoria sostenuta in un documentario del 2011, che mostra un foro nella struttura del semaforo. Il colpo, comunque sia stato deviato, rimbalzò prima sull’asfalto di Elm Street (circostanza, questa, confermata da quattro agenti motociclisti della scorta: Billy Joe Martin, James M. Chaney, Stavis Ellis e William G. Lumpkin, che dissero di aver visto l’asfalto di Elm Street colpito da un proiettile); un suo frammento, poi, schizzò via in direzione del marciapiede su cui si trovava Tague.

La teoria di un primo colpo andato a vuoto e sparato dalla collinetta erbosa, scientificamente e in base alle prove non è plausibile. Uno sparatore dal poggio erboso avrebbe dovuto mirare in direzione praticamente opposta a quella della sagoma di Kennedy per riuscire a colpire, anche solo di rimbalzo, il marciapiede di Tague. Una circostanza che appare priva di senso.

In verde, la collinetta erbosa. La posizione di Tague (1) è incompatibile con uno sparo dalla collinetta che manca Kennedy

È giusto ricordare che Tague sostenne che non fu il primo sparo a colpirlo. Il governatore Connally testimoniò, a sua volta, che il primo sparo non ebbe effetti, tant’è che ebbe il tempo di girarsi dopo aver udito una detonazione “che arrivava da dietro la spalla destra”, come precisò davanti agli inquirenti della commissione Warren; è di tutta evidenza che uno dei due si sbagliava. Ed è probabile si tratti proprio di Tague: sia perché il film di Zapruder mostra che Connally si voltò di scatto, come avesse udito qualcosa quando ancora nessuno nell’auto era ferito; sia perché Tague stesso non si era accorto di essere stato colpito. Difficile, quindi, potesse stabilire con esattezza quando avvenne il suo – pur lieve – ferimento. Tague, peraltro, avvalorò la tesi di un colpo partito dal sesto piano: testimoniando davanti alla Commissione Warren, infatti, dicharò: “Dopo aver identificato il segno di un proiettile sul marciapiede guardammo in su verso il deposito, da dove probabilmente erano partiti i colpi”. Tague sostenne anche che, secondo lui, i colpi potevano arrivare dalla zona vicino ad Abraham Zapruder, sulla sua sinistra, soprattutto perché aveva visto un agente di polizia (l’agente Haygood) dirigersi insieme ad altri verso la collinetta erbosa.

– Sono convinto che Lee Oswald fu l’unico responsabile dell’assassinio e che non ebbe aiuto da parte di nessuno.
Bob Kennedy

SECONDO COLPO

223Il secondo sparo coincide con i fotogrammi 223 e 224 del film di Zapruder. Lo sparatore dal sesto piano aveva la visuale completamente libera. Kennedy si trovava quasi a 60 metri, una distanza minima anche per un fucile rudimentale come il Carcano. Il proiettile parte: colpisce Kennedy nella parte alta della schiena, con un’angolazione di 20 gradi. Esce dalla trachea, sotto il pomo d’Adamo, senza aver attinto altro se non tessuti molli; entra poi nella schiena di Connally, rompe una costola, esce appena sotto il capezzolo destro, colpisce e rompe il radio del braccio destro per poi infilarsi, ormai privo di spinta, appena sotto la pelle, nella coscia sinistra del governatore.

Difficile non aver sentito parlare di questo colpo: è passato alla storia come il proiettile magico. Questo è il colpo che ha dato adito alle più disparate teorie: non è pensabile, si è detto, che un solo proiettile abbia prodotto tutti quei danni. Non è possibile, si è ancora sostenuto, che abbia fatto tutto ciò senza deformarsi o distruggersi. Non è possibile, ancora, che Connally abbia reagito al colpo con un incredibile ritardo rispetto a Kennedy. Non è possibile che Connally sia riuscito a reggere il cappello in mano pur avendo il polso fratturato. Non è possibile che quella pallottola sia andata a zig-zag colpendo Kennedy e Connally, rimanendo a mezz’aria tra un corpo e l’altro e compiendo giravolte inconcepibili. Tutte queste obiezioni sembrano ragionevoli. Ma lo sono?

Anzitutto, i proiettili corazzati Western calibro 6,5 (quelli usati per l’attentato) possono trapassare più corpi prima di esaurire la loro energia cinetica. Nel caso del colpo sparato in Dealey Plaza, le uniche due ossa che toccò furono una costola e il radio del braccio destro del governatore Connally. Il primo osso non era sufficientemente resistente per fermarne la corsa ma solo per deviarne il percorso; il secondo sì – tant’è che, leso l’osso del braccio, il proiettile ebbe solo la forza di infilarsi sotto la pelle della coscia sinistra del governatore – ma, ormai, la velocità era troppo bassa per spezzarsi. Furono sparati colpi di confronto con lo stesso fucile di Oswald e proiettili di quel tipo, che viaggiano a più di 650 metri al secondo, hanno forato spessi strati di legno. Nel 2004, un team di Discovery Channel realizzò un documentario della serie Unsolved History. La puntata si intitola JFK: beyond the magic bullet e dimostra, con l’utilizzo di manichini balistici e di un tiratore scelto, che quel colpo poteva comportarsi esattamente come la commissione Warren riscontrò nelle sue indagini. Guardare per credere.

Una delle obiezioni più dure a morire a supporto complotto si sostanzia nell’affermazione secondo cui un proiettile non poteva provocare sette ferite, trapassando due corpi, e restare praticamente intatto. Il proiettile full metal jacket (cioè con camiciatura rinforzata, concepita appositamente per non disperdersi nei corpi e non provocare quindi ferite devastanti) sparato dal Carcano, repertato con il codice CE399 (CE è l’acronimo di Commission Exhibit) dagli inquirenti, viaggiava ad alta velocità. Non ha incontrato masse sufficientemente consistenti per frammentarsi. Nel caso del successivo colpo alla testa, al contrario, una palla identica si è frammentata perché ha colpito, in entrata, spessi strati di ossa craniche.

CE399La verità scientifica è che i proiettili corazzati fabbricati dalla Western Cartridges, come quello sparato in Dealey Plaza, possono trapassare eccome più corpi senza subire danni evidenti: se, poi, hanno perduto parte della velocità nel tragitto, come accadde in quel caso, le possibilità che si frammentino diminuiscono ulteriormente. Tuttavia, il rilievo più importante è che quel proiettile non era integro. Aveva perso in piccola parte la sua materia, presentava ai lati le tipiche rigature da attraversamento della canna di fucile e si era deformato. Spesso, per mostrare quanto grottesca sarebbe la teoria del proiettile singolo, sono stati presentati proiettili di confronto, che avevano causato una sola ferita eppure si erano deformati in maniera decisamente maggiore rispetto a quello, secondo la versione ufficiale responsabile di sette ferite. Chi ha condotto questi esperimenti, però, ha ignorato la scienza forense. Sparare una fucilata a bruciapelo contro un osso produce spesso la distruzione della palla, che trova un ostacolo al massimo della sua velocità; sparare, da decine di metri, un colpo che perde nel tragitto parte della velocità trapassando tessuti molli, può fornire come risultato un proiettile molto meno lesionato. L’HSCA, la commissione che riesaminò a fine anni ’70 il lavoro della commissione Warren, fornì al professor Vincent P. Guinn i frammenti trovati nel polso del governatore Connally. Con una probabilità del 97%, secondo il suo parere, corrispondevano a quelli del reperto 399.

Ma un proiettile può zigzagare? Ovviamente no. Se si prendono per validi i disegni di alcuni ricercatori complottisti,  si dovrebbe concludere che mai un proiettile avrebbe potuto colpire, dopo Kennedy,  il governatore Connally senza deviare irrazionalmente la sua traiettoria. Qui, però, il busillis sta nella truffa che la gran parte dei cosiddetti ricercatori complottisti ha perpetrato per anni ai danni del pubblico, presentando disegni irreali come questo:

La traiettoria del proiettile CE399 secondo Robert Groden ed Edward Livingstone, autori di High Treason (1998)
La traiettoria del proiettile CE399 secondo Robert Groden ed Edward Livingstone, autori di High Treason (1998)

Innanzitutto, il governatore Connally non era seduto alla stessa altezza di Kennedy, ma più più in basso e più all’interno rispetto al presidente. Per verificarlo, è sufficiente osservare questa immagine della Lincoln presidenziale. Inoltre, al momento del secondo sparo, si stava girando verso destra e sbt3quindi non sedeva frontalmente rispetto a JFK. L’angolo di penetrazione del secondo colpo nella schiena di Kennedy, calcolato dai medici che effettuarono l’autopsia in 20 gradi, conduce a una conclusione: quella palla è stata sparata dall’alto e la finestra del sesto piano del deposito dei libri era una posizione ideale per infliggere quel tipo di ferita Il patologo Robert Artwohl studiò a lungo la posizione dell’automobile e  l’angolazione di entrata del proiettile, concludendo che quel colpo fosse stato sparato proprio dal sesto piano. Ricercatori di orientamento cospiratorio hanno evidenziato che, sullo schema che accompagnava il rapporto dell’autopsia del corpo del presidente, era stato indicato un punto di entrata nella schiena di Kennedy più basso rispetto a quello situato alla base del collo. Il disegno del comandante e medico J. Thornton Boswell, che effettuò l’esame sul cadavere, poneva in effetti il foro di entrata troppo in basso per collimare con la ferita in uscita sotto il pomo d’Adamo. Tuttavia, la esatta posizione della ferita è stata descritta nell’autopsia stessa (si parla di 14 centimetri e mezzo sotto il processo trasverso destro): gli schizzi delle autopsie, del resto, è pacifico che non siano atti a rappresentare disegni in scala di precisione, ma servano per visualizzare il quadro patologico di insieme (con “X” o cerchi a indicare i fori di entrata o uscita), senza pretesa di precisione assoluta.

sw-02L’autopsia stabilì che il foro nella schiena di Kennedy e quello alla gola erano legati a un unico proiettile. Tale assunto è stato messo in dubbio da chi ha sottolineato che i periti settori non furono in grado di seguire con lo specillo (un apposito strumento medico) il tramite della ferita e, quindi, ipotizzarono uno sparo che si fermò nella schiena del presidente. Questa ipotesi, però, è smentita sia dalla considerazione che la postura di un corpo esaminato da supino, ma ferito da seduto, muta necessariamente, e con essa la posizione reciproca di certe masse muscolari; dal fatto che l’autopsia parla chiaramente dei segni lasciati da questa palla (“Il proiettile ha attraversato i tessuti soffici soprascapolari e la porzione sopraclavicolare della base della parte destra del collo. Il proiettile ha prodotto la contusione della parte apicale destra della pleura e la lesione del della porzione apicale del lobo superiore destro del polmone. La pallottola ha contuso i muscoli del collo, danneggiando la trachea e uscendo dalla parte anteriore dello stesso”). E soprattutto dal fatto che le radiografie non evidenziano alcun proiettile rimasto nel corpo del presidente, a meno di non voler utilizzare la carta della documentazione falsificata.

Effetto tumbling: il proiettile trapassa Kennedy e inizia a capovolgersi.
Effetto tumbling: il proiettile trapassa Kennedy e inizia a capovolgersi.

Tornando al comportamento del secondo colpo, la sua traiettoria è non solo lineare e spiegabile ma, per certi versi, obbligata: entra nella schiena del presidente, esce dalla gola, inizia a capovolgersi (è il cosiddetto effetto tumbling, noto agli esperti di balistica forense: il proiettile perde, per così dire, l’orientamento e inizia a capovolgersi) e prosegue la sua corsa, finché incontra la spalla di Connally. La ferita di entrata nel corpo del governatore è stata misurata in 3,2 centimetri, ossia tanto quanto la lunghezza del proiettile, e presentava margini frastagliati: ciò indica che è entrata posizione verticale. Spezzata la quinta vertebra destra, esce: leggermente deviata verso sinistra dall’urto con la costola, frattura il radio (anche qui con foro d’entrata frastagliato), lasciando dei frammenti che verranno identificati, grazie all’attivazione neutronica, come provenienti proprio da quella palla. Ormai “spento”, il proiettile si infila appena sotto la pelle della coscia sinistra di Connally, da dove cade per essere ritrovato sulla lettiga del governatore.

Il cappello di Connally rappresenta un altro cavallo di battaglia del complottisti. Si è sostenuto, infatti, che un uomo col polso fratturato non potesse reggere in mano un cappello. Ed è un’affermazione che sembra di buon senso.

HatMa è falsa. La prova più lampante ci arriva proprio dal comportamento documentato dello stesso governatore Connally: il quale non solo continuò a reggere il cappello dopo che il colpo lo aveva raggiunto (come si vede nel fotogramma 272 del film di Zapruder) ma, addirittura, serrava ancora la presa quando arrivò al Parkland Memorial Hospital e fu trasferito sulla lettiga, e questo venne confermato da più infermieri e medici che lo soccorsero. Connally stesso, in fin dei conti, non si era reso conto di essere stato ferito al polso: solo il giorno dopo l’attentato fu informato sulla natura delle sue ferite. La reazione al ferimento, del resto, come ben sanno i medici esperti di ferite da arma da fuoco, non si può condensare in una formula. Le testimonianze di vittime di sparatorie o esplosioni riportano le circostanze più disparate: ci sono persone che non si accorgono di essere state colpite, o che sono convinte di essere state attinte in una zona diversa da quella reale, o ancora che sentono male a una mano quando, magari, la mano non c’è più.
Passiamo ai tempi di reazione del governatore. In passato, la questione era posta in questi termini: Connally reagisce con evidenza tra i fotogrammi 231 e 235, mentre il colpo è stato sparato attorno al fotogramma 224. C’è quindi un lasso di tempo di tre quarti di secondo in cui il governatore è colpito ma non batte ciglio: ciò sarebbe impossibile. La casistica in materia non indica parametri statistici entro i quali un ferito debba presentare reazioni. Né esiste una rigorosa descrizione delle reazioni di espressione, di voce o di altra natura di un corpo umano colpito da proiettile. Tuttavia, la questione del “ritardo” pareva risolta allorché si notò che già al fotogramma 224 il bavero della giacca di Connally si alza, come se qualcosa fosse passato tra il suo corpo e l’indumento.

233

Sicché, alcuni ricercatori hanno sollevato una seconda obiezione: se questo è vero, se cioè Connally è già ferito al fotogramma 224, allora è Kennedy a reagire troppo presto, perché quando emerge dal cartello stradale che oscura la visuale di Abraham Zapruder porta già le mani alla gola. Osservando con attenzione il film di Zaprduder, tuttavia, si può notare come Kennedy, prima di scomparire dietro il cartello stradale, stesse iniziando ad abbassare il braccio destro con cui salutava la folla e che la posizione delle braccia sia compatibile con la postura assunta prima di “scomparire”. Si nota anche che, poco prima di sparire dalla vista di Zapruder, Kennedy stava salutando la gente alla sua destra (fotogramma 193). Ancor prima di finire dietro il cartello, si nota ancora il suo braccio levato (fotogramma 204). Analizzando lo scorrimento del film, è  palese che il presidente avesse salutato e che stesse a poco a poco abbassando la mano. Quando si rivedono le sue mani, al fotogramma 224, non si scorge nulla di sospetto. La prima reazione di Kennedy allo sparo, con tutta probabilità, è invece il far cadere in giù la mano destra e far scattare in alto il gomito destro, come si nota chiaramente dai successivi fotogrammi 225 e 226. Può essere stata una reazione neuromuscolare. Può essere una postura dovuta a un danno della spina vertebrale (la cosiddetta posizione di Thorburn). Questo non si può accertare. Nei tristemente noti fotogrammi dal 228 in avanti, si vede Kennedy nella drammatica postura: i critici meno attenti (o in malafede) hanno parlato di mani serrate alla gola perché il presidente è stato colpito da davanti. In realtà – lo si nota esaminando le mani del presidente – Kennedy tiene i pugni uno sull’altro, stretti sotto il mento, con i gomiti in fuori. Questa è una posa innaturale, dovuta agli effetti neuromuscolari dello shock causato dallo sparo. Supporre che le mani si muovano verso la ferita perché il foro di entrata è sul davanti è solo un altro argomento di… finto buon senso. Un proiettile non è una puntura d’ape. Non si ha necessariamente l’istinto di mettere le mani sul punto di entrata.

TERZO COLPO

frame313Il terzo colpo arriva al fotogramma 313: su questo non ci sono dubbi di sorta, neanche da parte dei cospirazionisti più immaginifici. A poco più di 80 metri, il cecchino spara e centra la testa del presidente, in pieno. Zapruder riprende la scena in tutta la sua tragicità. Il proiettile provoca un foro d’entrata nella parte posteriore del cranio, con un angolo di impatto di 15° e una dimensione ellittica di 15×6 millimetri, e fuoriesce nella zona fronto-parietale destra. Sul fatto che quello posteriore sia un foro di entrata non vi è dubbio alcuno, trattandosi di una soluzione di continuo ovalare con orletto escoriativo. La vastità della ferita in uscita, che misurava 13 centimetri nel diametro, è stata invece spesso equivocata. Si è parlato di “tempia esplosa”, di un colpo sicuramente sparato dal poggio. In realtà, entrando nella teca cranica il proiettile fa esplodere la calotta e crea un “effetto jet” che spinge la testa di Kennedy dapprima, quasi impercettibilmente, in avanti, e poi violentemente indietro e a sinistra, compiendo un movimento che assomiglia molto a quello di chi emerge dall’acqua e ruota la testa all’indietro per non far ricadere i capelli in faccia.

Chi sostiene l’esistenza di un killer dal poggio non sa spiegare, però, né come costui possa aver ferito Kennedy da destra provocandogli una ferita sulla parte destra del cranio (con le ossa della teca cranica che, come mostrano fotografie e radiografie in sede autoptica si aprono in fuori) senza alcuna entrata, né sa spiegare la presenza di un foro di entrata posteriore se non parlando di due spari contemporanei, uno da dietro e uno da destra, senza però riuscire a mostrare gli effetti dello sparo laterale. Ecco perché la materia cerebrale di Kennedy si distribuisce a 180 gradi rispetto alla posizione della ferita: lo spruzzo di sangue e di materia endocranica investe l’autista e l’agente seduto al suo fianco, Connally, la moglie e il motociclista sulla sinistra dell’automobile, Bobby Hargis. L’ipotesi

(Fonte: HSCA)
(Fonte: HSCA)

di uno sparo alla tempia è smentita dallo stesso filmato di Zapruder, che mostra nei fotogrammi successivi al 313 la tempia destra di Kennedy intatta dopo il colpo. Le radiografie e le fotografie del corpo di Kennedy indicano chiaramente che le ossa craniche di Kennedy si sono aperte verso l’esterno, “a rosa”. La radiografia del cranio di Kennedy, esaminata dagli esperti della commissione Warren prima e dell’HSCA poi, ha condotto a una risoluzione chiara: lo sciame metallico lasciato dal proiettile frammentato ha una ben definita direzione, unicamente compatibile con uno sparo proveniente da dietro. Non esiste alcuna evidenza (autoptica, fotografica, documentale, testimoniale) di alcun cecchino posto sulla destra dell’automobile presidenziale né in alcuna altra posizione se non al sesto piano del Texas School Book Depository. E se mai quel cecchino fosse esistito, non si può affermare che abbia fatto alcunché, a meno di non dover ammettere che tutto il materiale a disposizione sia stato creato ad arte o modificato dolosamente.

Una falsa asserzione che ha convinto moltissime persone dell’esistenza di una cospirazione è quella per cui un uomo colpito alla tempia si muove obbligatoriamente nella direzione opposta. “Indietro e a sinistra”, come ripete il procuratore Garrison nel film di Oliver Stone, impersonato da Kevin Costner. Come dice la seconda legge di Newton: un oggetto colpito in una sua parte si muove nel verso opposto. Tale assunto è però in contrasto con le conoscenze scientifiche in merito di balistica e patologia forense: Kennedy si muove indietro e a sinistra proprio perché colpito da dietro, proprio perché l’esplosione del cranio con violenta fuoriuscita di tessuto e liquidi provocò un brusco scatto in direzione opposta a quella dello scoppio. Grazie alla tecnologia, sono state realizzate ricostruzioni della sparatoria così fedeli (come questa, contenuta nel documentario del 2009 JFK – Inside the target car) da non lasciare spazio alla discussione. A meno di non voler credere a ciò che è stato sperimentato e filmato.

Tre colpi in cinque secondi, infine, è l’assunto “tempistico” dei complottisti che negano la possibilità di Oswald assassino. Ma è un calcolo errato. Non tiene conto dei calcoli corretti della sparatoria: i tempi dell’assassino furono più ampi (almeno 8 secondi: ecco uno studio delle più ricorrenti obiezioni all’Oswald assassino solitario, compresi i tempi della sparatoria).

Qui sotto, un altro degli esperimenti – questa volta con una ricostruzione informatica – che dimostrano la plausibilità dei tre colpi nei tempi stabiliti, tutti provenienti da dietro, e la non plausibilità di altri colpi sparati da altre direzioni. Si tratta di un documentario prodotto da PBS nel 2013, intitolato Cold Case JFK.

125 pensieri riguardo “La dinamica dell’attentato in Dealey Plaza

  • 28 Novembre 2023 in 18:58
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    Sinceramente e con tutto il rispetto per gli Studiosi: mi sembra che coloro che sostengono con assoluta certezza ( e quasi arroganza) la versione ufficiale (varie commissioni) appaiono un poco sospetti: pregiudizio, simpatia per l’ “americanismo”, fede nella  Democrazia americana, o addirittura interesse personale ( carriera, politica, ecc.). Ritengo che tutto sia possibile, seppure molto improbabile, perfino che uno squilibrato ( Oswald) solitario  possa mettere a segno un attentato del genere. Se vogliamo anche io ho un pregiudizio: “certi Americani”sono capaci di fare di tutto, come dimostra la storia recente.

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    • 30 Novembre 2023 in 14:43
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      Signor Nati, mi pare – da ciò che scrive – che Lei parli per partito [letteralmente…] preso. Ossia che non abbia studiato nessuno degli Atti delle 4 Commissioni che stabilirono la colpevolezza senza mandanti del solo Oswald. Lei si limita a gettare lì un sospetto dietrologico qualunque, senza essersi documentato. Lei è come quelli che sostengono che tutte le prove trovate siano manomesse o prefabbricate. Ecco cosa Lei scrive:

      1) mi sembra che coloro che sostengono con assoluta certezza ( e quasi arroganza) la versione ufficiale (varie commissioni) Arroganza? Quale arroganza? Qui si tratta di conclusioni raggiunte dopo anni di studio, che Lei certamente non ha fatto. Di quale VERSIONE UFFICIALE parla? Qui ci sono solo versioni nate da indagini degli inquirenti. Chi avrebbe dovuto fare le indagini per la morte del Presidente, il Suo macellaio o il Suo droghiere sotto casa?

      2) appaiono un poco sospetti: pregiudizio, simpatia per l’ “americanismo”, fede nella  Democrazia americana, o addirittura interesse personale ( carriera, politica, ecc.).Sì, ha ragione: Ferrero, Polidoro ed io abbiamo un forte interesse personale sia nell’accettare i risultati delle indagini (abbiamo fatto con questa cosa una carriera politica ed accademica splendida, ricca di gloria, onori e denari) sia nel ricevere ogni mese un lauto bonifico dalla CIA – come dice Ferrero – che ci permette belle case, splendide auto e magnifiche vacanze. Bravo, Lei sì che ha capito tutto!

      3) Ritengo che tutto sia possibile, seppure molto improbabile, perfino che uno squilibrato ( Oswald) solitario  possa mettere a segno un attentato del genere. Se vogliamo anche io ho un pregiudizio: “certi Americani”sono capaci di fare di tutto, come dimostra la storia recente.Se Lei avesse studiato questo caso (cosa che non ha fatto, limitandosi a Stone/ Bisiach/ Minoli/ Garrison e a qualche Wanna Marchi del Complotto presente su youtube) non avrebbe pre-giudizi ma post-giudizi, cioè potrebbe giudicare dopo essersi accuratamente informato.

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  • 16 Ottobre 2023 in 17:17
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    Buongiorno. Ho visto in rete una foto che mostra la Limousine del presidente all’ospedale con un foro di proiettile su parabrezza, come è possibile se sono stati sparati solo tre colpi? sapete qualcosa al riguardo? anche tutto il discorso che la vettura è stata subito riparata senza farci dei rilievi? Non ho trovato molti risultati su questo argomento.Poi una cosa su James Files, lui dice di aver sparato con un proiettile al mercurio e che le tracce di mercurio non spariscono, non sarebbe logico verificare questa situazione facendo dei rilevamenti sul corpo di Kennedy? Magari sono bufale, oppure chissà. Ci sono state 10000 commissioni ma non è mai più stato esaminato il corpo del presidente. Il cervello che non si è più trovato…. Beh tutto quello che c’è su questo sito e sul documentario di Polidoro sicuramente è inconfutabile e molto dettagliato, però sembra che qualcosa manca sempre. GrazieGrazie

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    • 13 Novembre 2023 in 16:39
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      1) Sul parabrezza non c’era nessun foro, ma solo una scalfittura interna prodotta da un frammento di proiettile. La cosa fu accertata quella stessa notte a Washington dagli specialisti del Secret Service e dell’FBI. Il rappporto è contenuto negli Atti della Commissione; 2) La vettura venne minuziosamente e accuratamente esaminata in tutte le sue parti e giunse da Dallas a Washington in aereo la notte tra il 22 e il 23 novembre senza essere stata lavata, come qualcuno ipotizzò; 3) I frammenti di proiettile estratti dal cranio di Kennedy furono sottoposti due volte (nel 1964 e nel 1978) ad analisi di attivazione neutronica, ma non rivelarono nessuna traccia di mercurio; 4) Il cervello fu estratto, esaminato e ne fu fatta una sezione coronale (per i profani diciamo che fu tagliato “a fettine”) e fu deposto in un vaso di formalina e poi in una cassetta di legno, consegnata alla segretaria di Bob Kennedy. Nel marzo 1967, con la nuova tomba preparata per il Presidente ad Arlington, la cassetta fu probabilmente interrata dallo stesso Bob Kennedy nella nuova sepoltura del fratello, che è quella che ancora oggi tutti possono visitare in quel cimitero.

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  • 18 Febbraio 2023 in 14:51
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    Una possibile dinamica.Oswald é al sesto piano alle 11h45 secondo Charles Givens che era salito a recuperare le sigarette. Successivamente Oswald é notato al secondo piano fino a circa le 12h15, secondo le testimonianze dei colleghi, ma non si trova più nei successivi minuti fino a essere reperito dal poliziotto Marrion Baker alle 12h32.Oswald potrebbe aver montato il fucile alle 11h45, nascosto e preparato la postazione, essere sceso al secondo piano per controllare dalle finestre per attendere che il convoglio esca dalla Main Street, svolti sulla Houston Street, quindi salire al piano e mettersi in posizione per sparare quando il convoglio scendeva dalla Elm Street.  Silvano

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    • 6 Marzo 2023 in 2:03
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      Non credo sia andata così, perché Oswald non poteva prevedere che il suo collega Bonnie Ray Williams si fermasse a mangiare un panino e a bere una bibita proprio alle finestre del sesto piano dalle 12-12,05 fino alle 12,10-12,15 e nessuno poteva garantirgli che risalendo alle 12,15-12,16 non avrebbe ancora potuto incontrare il suo collega fermatosi al sesto piano. Nessun collega fu certo di aver visto Oswald in sala mensa alle 12,15. Carolyn Arnold disse che non lo conosceva bene e che le SEMBRAVA di averlo visto al secondo piano verso le 12,15 ma non ne era CERTA. Junior Jarman negò di aver visto Oswald in mensa a quell’ora. E’ più facile che Oswald sia rimasto dalle 12 in poi in silenzio dietro il rifugio di scatole di libri che aveva accatastato vicino alla finestra, attendendo che Williams finisse il suo panino e sperando che andasse via, come infatti avvenne. Se Williams fosse rimasto al sesto piano, Oswald non avrebbe potuto compiere il suo crimine. Andato via Williams, Oswal – ormai solo – si affrettò a montare il fucile (6 minuti) e ad appostarsi alla finestra, dove fu visto verso le 12,25 da diversi testimoni, alcuni dei quali lo scambiarono per un cecchino di sorveglianza della polizia.

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  • 18 Febbraio 2023 in 14:30
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    BuongiornoUn’altra riflessione, Bonnie Ray Williams dichiara che si trovava al piano sottostante assieme ad altri due colleghi, sentirono chiaramente gli spari, il rumore di caricamento e dei bossoli che cadevano al suolo. Cosa fecero immediatamente dopo? Salirono a controllare? Sentirono qualcuno scendere le scale? L’hanno visto? Grazie Silvano

    Rispondi
    • 6 Marzo 2023 in 1:50
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      No, rimasero inizialmente al quinto piano, spostandosi alla finestra d’angolo per vedere l’auto presidenziale allontanarsi di corsa dopo i colpi. Nessuno di loro ebbe il coraggio di uscire e incontrare qualcuno che aveva aveva appena sparato nell’edificio. Perciò si trattennero al 5° piano per alcuni minuti. Poi scesero in strada. A quel punto Oswald aveva lasciato l’edificio ed essi – dal punto in cui erano – non avrebbero mai potuto notarlo mentre scendeva con calma al secondo piano, circa 40 secondi dopo l’ultimo colpo.

      Rispondi
    • 18 Febbraio 2023 in 0:34
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      Buongiorno

      Non posso che complimentarmi per le informazioni, anch’io come i più avevo l’idea stereotipata del complotto, ma grazie a questo sito ho potuto riflettere.

      Una domanda: guardando una foto panoramica della Dealey Plaza si nota la pendenza della Elm Street, se tracciamo la perpendicolare del piano stradale e si tira una linea in corrispondenza alla linea di tiro del cecchino, possiamo rilevare un angolo minore di 20°. Se n’é tenuto conto sull’angolazione dei fori d’entrata delle pallottole nei corpi delle vittime?

      Un sincero ringraziamento

       

      Silvano

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      • 19 Febbraio 2023 in 1:04
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        Ho trovato la risposta alla mia domanda sull’inclinazione dei proiettile leggendo una parte che mi era sfuggita.  🙂

        Rispondi
      • 6 Marzo 2023 in 1:39
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        Ovviamente sì. Ben cinque commissioni (Warren, Ramsey Clark, Church, Rockefeller, HSCA) hanno esaminato tutti gli aspetti del delitto e la Dealey Plaza è stata misurata in tutte le distanze e le pendenze anche con moderni telemetri e teodoliti di ogni tipo. E altrettanto ovviamente è stato tenuto conto che i colpi raggiunsero il bersaglio con quella angolazione.

        Rispondi
  • 6 Febbraio 2022 in 3:30
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    Gentile Signor Francesco,
    se Lei cercherà online il libro di John McAdams “JFK Assassination Logic How to Think About Claims of Conspiracy” su Google Books, scriva nello spazietto di ricerca a sinistra “Connally thigh wound”.
    Il proiettile può essere benissimo entrato superficialmente nella pelle della coscia sinistra di Connally e fuoriuscito da solo dalla stessa ferita durante le manovre di pronto soccorso sulla barella. Qui, nel sito di Ferrero, troverà delle sezioni dedicate al cosiddetto “proiettile magico”.

    Rispondi
  • 21 Ottobre 2021 in 0:25
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    Gentile Diego Verdegiglio, è possibile comprare una copia del suo libro?Al di là del film di Oliver Stone, ho un sano scetticismo verso le narrazioni ufficiali. Così come rigetto le narrazioni complottiste.Preferisco studiarmi il suo libro, che ho letto essere assai documentato.Non lo trovo, però. Se non a prezzi assurdi su EBay. Perché non lo ristampa e aggiorna, visto che Oliver Stone ha una serie Tv (immagino aggiornata) sul caso?Un blog, per quanto aggiornato, non può sostituire un libro. Visto che Oliver Stone rilancia sulla vicenda, mentre moltissimi documenti leggo non essere stati declassificati, ritengo sia preziosa una voce dissonante.Un cordiale saluto,Maurizio Corte

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  • 29 Aprile 2021 in 20:07
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    Se si guarda attentamente il frame 313 del video di Zapruder (il drammatico frame dell’impatto dell’ultimo proiettile) si nota che il materiale endocranico di JFK viene espulso dalla forza del priettile si a 180°, ma prevalentemente verso il “davanti”, segno inequivocabile di un colpo proveniente dal retro.Zapruder si trovava tra i dieci e i quindici metri dalla fantomatica posizione di tiro della “Grassy Knoll”… E dai  frames ripresi dal versante Sud di Elm Street c’erano almeno tre persone sulle scale del poggio, quindi a qualche metro dall’ipotetico secondo (o terzo) attentatore… Nessuno ha visto niente a quanto risulta… Oltretutto risulta difficile credere che un tiratore decida di sparare così vicino agli spettatori se vuole poi defilarsi senza essere visto. A meno che non sia Ali Agca o Shiran Shiran (senza contare la difficoltà intrinseca nel tirare ad un bersaglio in movimento con angolazione di almeno 60/70°).

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    • 13 Luglio 2020 in 21:21
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      Ho letto. Sciocchezze senza fondamento, a mio avviso. Le ferite su Kennedy e Connally indicano solo una provenienza dall’alto e da dietro dei colpi (HSCA Final Report)

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  • 5 Gennaio 2019 in 19:10
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    Bumgiorno Sig. Ferrero

    Mi scusi ma  mio avviso il filmato del test con i due manichini in silicone ho non è attendibile o comunque c’è qualcosa che non quadra infatti si ha l’impressione che la pallottola che colpisce alla schiena Kennedy non esce poco sotto il pomo di Adamo (dalla linea rossa mi sembra abbastanza evidente) almeno non è questa l’impressione , sembra uscire all’altezza del petto, le fotografie dell’autopsia identificano la ferita di uscita praticamente sulla gola capisco che non si potranno mai ricreare le identiche condizioni ma a mio avviso quel filmato non dimostra per nulla la teoria del singolo proiettile anzi guardando la traiettoria insinua dubbi.

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    • 15 Gennaio 2019 in 1:43
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      A mio avviso non è assolutamente come dice Lei, Signor Renzo

      Rispondi
      • 18 Gennaio 2019 in 20:59
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        Scusi Sig Verdegiglio, se guarda la traiettoria indicata dalla linea rossa nel filmato che indica la traiettoria del proiettile si vede che l’ingresso nella schiena non corrisponde all’uscita dalla gola ma molto più in basso praticamente sul petto questa è ciò che si vede nel filmato se poi nella realtà è andata diversamente allora stiamo parlano di due casi diversi le foto dell’autopsia mostrano la ferita appena sotto il pomo di adamo

        Rispondi
        • 29 Gennaio 2019 in 12:38
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          Non sono d’accordo con Lei. Se guarda le foto dell’autopsia si renderà conto della particolare conformazione del collo del Presidente. Il foro di uscita era sotto il pomo d’Adamo. Uscì perciò dalla gola – intaccando l’abbottonatura del colletto della camicia e il nodo della cravatta – e non dal petto. Non esistono dubbi di sorta sui punti d’ingresso e di uscita del primo proiettile che colpì Kennedy.

          Rispondi
  • 27 Dicembre 2018 in 18:27
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    Buonasera. Guardando attentamente su YouTube un filmato di Zapruder ad alta risoluzione, rimasterizzato e particolarmente in slow motion, ho avuto modo di notare quello che mi é sembrato trattarsi del terzo proiettile. Esso mi sembra che si veda intorno dal fotogramma 310 in poi, provenire dalla sinistra. Quindi non capisco se si tratta di una sorta di credenza di aver visto oppure quello che ha la forma di proiettile lo é veramente. Premetto che non sono esperto d’armi e ciò che conosco a tale proposito é piuttosto basso. Lei mi saprebbe riferire una delucidazione? Grazie e buona serata.

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    • 27 Dicembre 2018 in 19:33
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      Ho guardato anch’io ma non ho visto nulla, e nulla secondo me si può vedere dato che quei proiettili viaggiavano a velocità supersonica, tra i 650 e i 700 metri al secondo all’uscita dalla bocca dell’arma. Ci possono essere riflessi o grana nella pellicola sviluppata che possono indurre in errore.

      Rispondi
      • 27 Dicembre 2018 in 20:05
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        Capisco, invece per quanto riguarda il video in cui presumibilmente si vede la figura di Oswald alla finestra qualche secondo prima di sparare? É quella una sola impressione o é veritiera?

        Rispondi
        • 28 Dicembre 2018 in 15:23
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          Negli ingrandimenti dei fotogrammi dei film amatoriali di Hughes e Bronson si vede una sagoma o qualcosa in movimento alla finestra di Oswald, e una ulteriore analisi degli esperti individuerebbe una canna che sporge dalla finestra. Ma ovviamente non si riesce ad individuare la figura o il viso di Oswald. Per esclusione (non c’erano estranei nel deposito in quel momento e fu accertato dove si trovavano tutti gli altri dipendenti durante la sparatoria) e da vari elementi concordanti (fucile ritrovato, proiettili recuperati, impronte, ferite, testimoni acustici al piano inferiore ecc. ) non può che trattarsi di Oswald, visto da un poliziotto entro due minuti dopo la sparatoria alla mensa del secondo piano. Scendere dal sesto piano dopo aver nascosto il fucile non richiese per lui più di un minuto.

          Rispondi
          • 29 Dicembre 2018 in 22:37
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            Capisco, effettivamente bisognerebbe lavorare anche con un po’ di fantasia per ricostruire per intero la figura che sembra esserci. Purtroppo i video non sono troppo nitidi tali da identificare la figura umana.

          • 31 Dicembre 2018 in 18:15
            Permalink

            Riccardo 29 Dicembre 2018 in 22:37

            Capisco, effettivamente bisognerebbe lavorare anche con un po’ di fantasia per ricostruire per intero la figura che sembra esserci. Purtroppo i video non sono troppo nitidi tali da identificare la figura umana.
            INFATTI. ANCHE CONTRASTANDO FORTEMENTE I COLORI E I CONTORNI, NON C’E’ MODO DI INGRANDIRE L’IMMAGINE DELL’EMULSIONE DELLA PELLICOLA SUPER-8 OPPURE 8 MILLIMETRI SENZA “SGRANARE”. FRA L’ALTRO IL “FUOCO” DELLE CINEPRESE ERA FISSO, NON CI SONO “ZOOMATE” SULL’EDIFICIO E I DUE CINEOPERATORI DILETTANTI ERANO ALQUANTO DISTANZIATI DAL DEPOSITO. 

  • 10 Settembre 2017 in 8:47
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    Buon giorno. Mi consenta una osservazione: l’impostazione di questo sito, pregevole per la sua docu-mentazione, è tale da non lasciare margini di dubbio: ha sparato il solo pazzo-solitario-comunista
    Oswald, non c’è stato nessun complotto, Garrison e Stone sono due cialtroni ecc. Onestamente, in mezzo a una autentica montagna di indizi e di testimonianze di segno divergente, mi chiedo come si possa affermare E’ ANDATA COME AFFERMA LA COMMISSIONE WARREN E CHI PARLA DI COMPLOTTO
    NON SA QUELLO CHE DICE. Io conservo una collezione di dubbi. Un solo esempio: il famoso proietti-
    le ‘magico’: colpisce JFK alla schiena e fuoriesce dalla gola più o meno all’altezza del pomo d’Adamo…
    ma, considerando che Oswald sparava dall’alto e che la traiettoria del proiettile doveva per forza
    avere una certa inclinazione, il foro d’uscita non doveva essere molto al di sotto della gola?
    Grazie per l’attenzione – attendo un Suo chiarimento. Fabio Corti

    i-

    Rispondi
    • 11 Settembre 2017 in 17:32
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      salve Fabio, grazie per avermi scritto.
      capisco che l’impostazione del sito possa sembrarle eccessivamente perentoria, ma sono proprio 20 e più anni di studi sul caso ad aver spazzato via i dubbi, nonostante riconosca la complessità e, in un certo senso, l’irripetibilità di alcune circostanze dell’assassinio che hanno reso questo caso così “misterioso”.

      sulla pallottola magica, che magica non fu, la invito a leggere qui: http://www.johnkennedy.it/?p=432

      Rispondi
      • 13 Settembre 2017 in 11:53
        Permalink

        Grazie a Lei dottor Ferrero. Devo però dire che: 1. ammetto tranquillamente che un proiettile
        possa trapassare due e forse anche tre corpi, dipende dalla distanza, dalla potenza dell’arma
        e da altri aspetti sui quali solo un esperto balistico – io di certo non lo sono – può dare un pa-
        rere ragionato. 2. per quanto riguarda la traiettoria del proiettile, conservo i miei dubbi: anzi-
        chè seguire un percorso alto-basso, sembra dover fare il contrario. Ammetterà che non è un
        particolare secondario. Se la ferita alla gola non è un foro d’uscita, allora bisogna contempla-
        re la possibilità di almeno 4-5 spari, di cui almeno uno frontale: e in questo caso tutto cambia. Mi voglia scusare, non penso di essere un complottista fanatico; mi sembra inverosimile pensare a
        un diabolico piano che coinvolga CIA, FBI, Secret Service, polizia di Dallas e magari anche ma-
        fia e perchè no la SPECTRE dei film di James Bond. Vorrei solo trovare una spiegazione plausi-
        bile alle mille stranezze e incongruenze di questa tragica pagina di Storia. Ancora grazie per
        l’attenzione e cordiali saluti. Fabio Corti

        Rispondi
        • 13 Settembre 2017 in 15:15
          Permalink

          DAL SITO http://WWW.JOHNKENNEDY.IT (CHE NON VIENE MAI LETTO CON ATTENZIONE PRIMA DI FARE DOMANDE…):
          L’opinione più diffusa sul caso Kennedy è legata a una colpo di fucile ormai celebre come la pallottola magica.
          Questa teoria si basa sull’assunto che le ferite del presidente Kennedy e del governatore Connally escludano un singolo sparo da dietro perché, se mai i due corpi fossero stati davvero attraversati da un unico proiettile, questo avrebbe dovuto compiere una inverosimile traiettoria a zig-zag. Corollario della teoria è che quell’unico proiettile non avrebbe potuto ferire Kennedy e il governatore Connally, provocando nel complesso sette ferite, senza deformarsi. Il proiettile in questione è noto ai ricercatori del caso Kennedy come il reperto 399 della commissione Warren, perché così fu catalogato dagli inquirenti in fase di indagine. Per anni, all’opinione pubblica sono state presentate ricostruzioni basate su disegni – come quello che vedete qui a lato – che non tenevano conto, anzitutto, della reale posizione delle due vittime sulla Lincoln presidenziale. Per rendere incompatibile la tesi di un unico sparo, JFK e Connally venivano posti alla stessa altezza e allineati orizzontalmente, cioé seduti perfettamente uno davanti all’altro. Ciò, però, non corrisponde ai fatti: il governatore texano, seduto davanti al presidente su un seggiolino, si trovava circa quindici centimetri più all’interno e otto più in basso rispetto a Kennedy. Non solo: al momento dello sparo, il suo torso era ruotato verso destra, circostanza che allinea ulteriormente le due ferite di Kennedy alle cinque subite da Connally.

          singI sostenitori del complotto contestano, inoltre, il fatto che il foro alla schiena e quello alla gola del presidente fossero il frutto dallo stesso sparo, poiché – si è detto – un proiettile che dall’alto in basso entra nella schiena non può uscire più in alto, cioè “dalla gola”. Al di là della genericità del termine “gola”, osservando le fotografie scattate in sede di autopsia e leggendo il referto autoptico allegato agli atti di inchiesta si scopre altro. Il presidente Kennedy fu colpito quattordici centimetri sotto la base del collo, con foro di uscita sotto il pomo d’Adamo(1). Considerando le misure antropometriche del presidente, la sua postura al momento dello sparo, la posizione dello sparatore dal sesto piano del deposito dei libri e la lieve pendenza di Elm Street, il colpo da dietro è stato calcolato sia penetrato nella schiena del presidente con un’angolazione di 17 gradi verso il basso, nel punto descritto (2). Un colpo con quella traiettoria non poteva che provocare un foro di uscita sotto il pomo d’Adamo. Non solo: l’analisi dei filamenti della camicia del presidente indica che un colpo lo ha trapassato in direzione dietro-davanti. Sul ritrovamento del proiettile 399 sulla barella del governatore Connally al Parkland Memorial Hospital di Dallas si è scatenato un aspro dibattito: la teoria cospirativa vorrebbe che quel proiettile fosse stato sistemato in ospedale da un complice degli assassini, al fine di incolpare Oswald. Ma non è solo la mancanza di elementi di prova che fa cadere questa supposizione: infatti il reperto 399 sarebbe stato sistemato sulla barella per poi essere oggetto di una contesa perché troppo poco danneggiato in relazione alle ferite dei due uomini: un controsenso. Non solo: al momento del ritrovamento del proiettile, sulla barella non si conosceva ancora l’esistenza di altri proiettili nella sparatoria. Se fosse stato sistemato da fantomatici cospiratori, la loro sarebbe stata una mossa da veggenti: non si conosceva la quantità di frammenti lasciati nel corpo di Kennedy e Connally, non si sapeva che tipo di ferite Oswald avesse inferto ai suoi bersagli, non si sapeva se le pallottole fossero state ritrovate. Era impossibile conoscere in anticipo se il proiettile “falso” si sarebbe reso utile o se sarebbe risultato controproducente.

          Il reperto 399, la cosiddetta pallottola magica
          Il reperto 399, la cosiddetta pallottola magica
          Un’altra obiezione sul reperto 399 è frequente: come può quella pallottola aver ferito Kennedy alla schiena e alla gola, essere entrata nella schiena di Connally, uscita dal torace, essere riuscita ancora a spezzare un osso per terminare la sua corsa nella coscia sinistra del governatore rimanendo quasi intatta? La risposta risiede nella natura del proiettile e negli ostacoli incontrati. Il fucile di Oswald ha sparato quella palla a circa 660 metri al secondo: una pallottola full metal jacket può restare deformata solo in minima parte pur avendo procurato molte ferite se, come accadde nel caso Kennedy, attraversa quasi esclusivamente tessuti molli (la pallottola infatti incrinò una costola del governatore e, quasi a fine corsa, spezzò il radio dell’avambraccio destro quando la sua velocità, ormai ridotta, rendeva più difficile la sua frantumazione). La celebre scena del film di Oliver Stone, che mostra come si sia deformato un proiettile sparato attraverso il polso di un cadavere (che equivale, viene detto, solo una delle sette ferite inferte dal proiettile 399) vorrebbe smentire la plausibilità della pallottola magica. La scienza forense insegna, però, che è più plausibile che un palla si deformi o frantumi se sparata a distanza ravvicinata, quando ancora la sua velocità è altissima, che a decine di metri, come avvenne in Dealey Plaza. Questo è uno degli argomenti sul quale fanno leva i sostenitori del complotto, che traggono vantaggio dalla scarsa conoscenza tecnica del pubblico invitando – termine ricorrente nelle loro argomentazioni – a “usare il buon senso”. In realtà i proiettili non hanno buon senso: la scienza ci dice che un colpo sparato a bruciapelo contro un osso ha ottime possibilità di deformarsi notevolmente, mentre uno sparato a distanza può trapassare più ostacoli senza distruggersi. Come ci dimostra che un colpo alla testa sparato da davanti non è un pugno, non costringe la testa a muoversi nella direzione opposta. Ma questa è un’altra storia, nota come “indietro e a sinistra”.

          (1) Warren Report, commission exhibit 387: “Situated on the upper right posterior thorax just above the upper border of the scapula there is a 7×4 millimeter oval wound. This wound is measured to be 14 cm. from the tip of the right acromion process and 14 cm. below the tip of the right mastoid process”.

          (2) Warren Report, pag. 106: “Allowing for a downward street grade of 309′, the probable angle through the President’s body was calculated at 17°43’30”, assuming that he was sitting in a vertical position”.

          Rispondi
  • 11 Gennaio 2017 in 15:33
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    nico99: Ok, è tutto spiegato abbastanza bene, però c’è ancora una cosa che è rimasta in dubbio, perchè oswald avrebbe dovuto uccidere il presidente degli stati uniti? e soprattutto lui ammise di essere stato incastrato.

    OSWALD AVREBBE NEGATO TUTTO FINO ALLA FINE
    ANCHE SE UNA GIURIA LO AVESSE CONDANNATO A MORTE. NON ERA IL TIPO DI PSICOPATICO CHE RIVENDICA CON ORGOGLIO IL SUO DELITTO. SULLE SUE MOTIVAZIONI HO SCRITTO MOLTO NEL MIO LIBRO, BASANDOMI SU DIAGNOSI DI NOTI CONSULENTI. NON ESCLUDO CHE LA GOCCIA TRABOCCANTE DELLA SUA PSICOPATIA POSSANO ESSERE STATI I COLLOQUI CON AGENTI CASTRISTI A CITTA’ DEL MESSICO NEL SETTEMBRE PRECEDENTE. INTENDIAMOCI, NON ERANO I MANDANTI, MA UN DISCORSETTO TIPO “SE QUALCUNO RIUSCISSE A LIBERARCI DI QUESTO FIGLIO DI PUTTANA DI KENNEDY – CHE STA TENTANDO DA ANNI DI FAR FUORI IL NOSTRO FIDEL – A CUBA SAREBBE ACCOLTO COME UN EROE” PUO’ AVER INDOTTO OSWALD A PRENDERE IL SUO FUCILE, AVENDO SAPUTO CHE JFK SAREBBE PASSATO PER PURO CASO SOTTO LE SUE FINESTRE.

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    • 1 Agosto 2017 in 0:08
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      I miei complimenti per la meritoria opera di chiarezza ai tanti dubbi (o certezze) complottistiche sciaguratamente alimentate negli ultimi 20 anni dal film jfk che ha dato alle iniziative complottistiche di Garrison:

      1) Un fortissimo appoggio psicologico; a quanto pare Kevin Kostner ha ritratto un uomo che, pur nelle fissazioni ed eccentricità, era ben diverso dal Garrison reale, egocentrico, paranoico e disposto a schiacciare tutti quelli che non la pensavano come lui.

      2) Un fortissimo appoggio visivo; nel momento in cui le fantasione ipotesi investigative vengono rappresentate visivamente mostrando Clay Shaw nella attuazione delle scene colpevoliste, è ovvio che il telespettatore sia più o meno inconsciamente coinvolto nell’accettazione di una tesi.

      Devo dire che, ormai assodato che l’attentato fu fatto dal solo Oswald, l’attenzione si sposta sul fatto su possibili “menti”. Ed in questo devo dire che l’unica cosa che mi lascia perplesso è il corso di Russo nei Mrines e la facilità con cui è stato riaccolto in America dopo il periodo russo. Forse ne avete già parlato in qualche pagina ma non l’ho trovata.

      Rispondi
      • 2 Agosto 2017 in 21:07
        Permalink

        Signor Franco, Le riporto qui quanto ho scritto nel mio libro su questi argomenti:
        Pag. 202 – Anche se il delitto è stato consumato a Dallas, Garrison è sicuro che i cospiratori abbiano organizzato il complotto nella sua città. Si sente pienamente investito della sua missione. Il Rapporto Warren conferma che sotto le armi Oswald studiava il Russo e leggeva giornali russi? Garrison non perde tempo ad approfondire il fatto che molti altri Marines studiavano nello stesso periodo il Russo e altre lingue straniere alla Monterey School. La sua deduzione immediata è invece che Oswald deve impersonare un finto marxista per conto dei servizi di intelligence della Marina e della CIA.
        pp. 262-267. (a) La “spia” Oswald e George De Mohrenschildt. Oswald non è mai stato, in nessun luogo, un agente dei servizi segreti (FBI,CIA,ONI, DIA) e nessuno, in Russia negli Stati Uniti o nella base dei Marines ad Atsugi, in Giappone, ha mai avuto indizi che lo fosse. Questo è un dato accertato dall ‘ HSCA. Dice l ‘ ex-agente dell ‘ FBI James Hosty: “Oswald si presentò all’ufficio dell’ FBI di Fort Worth dopo il ritorno dalla Russia. Lui si dimostrò arrogante e gli agenti chiusero il colloquio. La CIA non lo cercò mai”. Aggiunge l’ex-direttore della CIA, Richard Helms: “L’ FBI doveva interrogarlo, verificare se era stato reclutato dal KGB, se bisognava continuare a tenerlo d’occhio, il motivo del suo viaggio in Russia e tutto il resto. Fa parte dei compiti dell’FBI e, se lo hanno convocato una o due volte, direi che è sufficiente. Non mi risulta che la CIA abbia avuto un contatto con lui al ritorno dalla Russia. Almeno io non ne sono al corrente”. Oswald, invece, nella sua mente distorta, s’ immagina un grand’uomo, degno di diventare una spia alla James Bond, un infallibile doppiogiochista che può tenere in scacco le superpotenze, un Grande Capo, un agente segreto di sé stesso. Nella realtà è un povero ragazzo esaltato, dalla personalità sdoppiata che si affanna a dare nomi falsi, contraffare i suoi documenti personali, affittare caselle postali per inesistenti comitati filocubani e cercare maldestramente di infiltrarsi nei gruppi di esuli anticastristi. Marina pensa che suo marito sia mentalmente malato, lei stessa non lo considera del tutto normale: fantastica di imprese pericolose come agente segreto, si riempie la testa dei libri di Ian Fleming e sul tavolo del soggiorno tiene un volume dal titolo Come si diventa una spia. Uno stravagante e imprevedibile personaggio, divenuto in questo periodo molto amico di Lee, George De Mohrenschildt (un geologo avventuriero di nobili origini, assolutamente inaffidabile, un provocatore eccentrico, un anticonformista e ribelle: lui e sua moglie si divertono a dare scandalo uscendo in strada e recandosi a ricevimenti importanti in abiti succinti), dirà a proposito di Oswald come ipotetica spia: “Non posso credere che esista un governo tanto stupido da affidare a uno come lui qualunque compito di una certa importanza”. Come a molti imprenditori americani che si recano in Paesi stranieri alla fine degli Anni Cinquanta (quando ancora non esistono i satelliti-spia e i sistemi perfezionati di oggi), la Domestic Contact Division, una struttura “aperta” della CIA, chiede anche a De Mohreschildt (come a Clay Shaw) informazioni su diverse nazioni a regime comunista in cui si reca per lavoro: ad esempio, la Jugoslavia. Una prassi normale per una media annua di circa venticinquemila uomini d ‘ affari statunitensi. Basta questo a convincere Garrison che egli abbia, “lavorato per la CIA”. Sapendo che Lee è appena rientrato dalla Russia, De Mohrenschildt, sospettato da tutti i complottisti di essere un agente segreto, si premura invece di chiedere a un ufficiale della DCD, J.Walton Moore, se è consigliabile frequentare Lee e sua moglie Marina, se i due sono “okay”. Moore dà il suo avallo pregando nel contempo il geologo di cercare di conoscere meglio Oswald. De Mohrenschildt non è una persona equilibrata e affidabile e non esita, fino alla fine, a fornire versioni diverse dei suoi rapporti con Lee. Scrive Gino Gullace: “De Mohrenschildt era stato varie settimane in un ospedale psichiatrico e una volta aveva confidato che tutte le sue rivelazioni erano inventate. Disse così: Voglio anch’ io guadagnarmi un milione, come tanti altri, sulla morte di Kennedy”. Il 29 marzo 1977, poco prima di rilasciare una seconda intervista allo scrittore Edward Jay Epstein, De Mohrenschildt si suicida nella sua villa in Florida.
        (b) Oswald e la Russia. Né la CIA né il KGB hanno stima di Lee: pensano entrambe che sia solo un seccatore, un disadattato velleitario che può creare problemi, una “rogna” da cui stare lontani. Le autorità lo considerano anche un ignorante in fatto di marxismo. Il suo tentati-vo di suicidio, per ottenere la cittadinanza sovietica, crea grande imbarazzo alle autorità di Mosca. Il KGB sa che non può conce-dergliela, ma non sa che farsene di un tipo del genere. L ‘ immagine di un ameri¬cano rimpatriato con la forza sarebbe, d ‘ altra parte, un gesto di propaganda negativa per l ‘ U.R.S.S. Così gli danno un permesso di residenza annuo, rinnovabile, e lo mandano a Minsk, nella fabbrica di televisori Gorizont. Non vi si producono radar, né è control¬lata dalla CIA, come sostengono i critici complottisti. Oswald non è neanche addetto agli apparati elettronici, ma alla produzione dei supporti metallici degli apparecchi. Scrive Norman Mailer: “Sul piano umano, Oswald veniva accettato come immigrante. Occorreva, pertanto, assicurargli buone condizioni, affinché non restasse deluso dal tenore di vita in U.R.S.S…L ‘ appartamento fu assegnato a Oswald per decisione dell ‘ azienda: non ci fu lo zampino dei servizi segreti. Si era dell’avviso che le istituzioni sovietiche dovessero mostrarsi umanitarie con lui”. La padronanza iniziale della lingua russa di Oswald è, tutto sommato, mediocre e migliora solo dopo due anni e mezzo trascorsi a Minsk. Garrison e Stone pensano che Marina, conoscendolo, lo creda un Baltico perché parla molto bene il Russo, ma è esattamente il contrario: Estoni, Lettoni e Lituani non sono, e ci tengono a non sentirsi, Russi. Parlano malissimo lo slavo, con forte accento straniero. Come ammette la stessa Marina “i Baltici non parlano bene il Russo, sono di nazionalità diversa dai Russi”. Una conoscente di Oswald a Minsk, Maya Gertsovich, sostiene che, nei primi tempi, il suo Russo era molto povero. Il suo amico Ernst Titovetz aggiunge che “il suo Russo era piuttosto inadeguato. Solo alcune centinaia di parole, veramente niente”. Yuri Nosenko afferma di aver trattato a lungo il “caso Oswald”, aggiungendo che i servizi segreti di Mosca non sono mai stati interessati alle supposte rivelazioni militari dell’ex-Marine: “Cos’era Oswald nei Marines? Un maggiore, un capitano, un colonnello? Avevamo più informazioni da altre fonti del KGB di tutte quelle che lui poteva darci, anche sull’ aereo spia U2. Quando chiese di tornare in America, non ci furono difficoltà: non ci era utile e non avevamo nessuna ragione per farlo restare. Eravamo abbastanza realistici sulle condizioni di vita in Russia. Robert Webster, un altro disertore americano giunto poco prima di Lee, fu felice per i primi tre o quattro mesi, ma poi cominciò a sentire la mancanza delle comodità e volle ri-tornare in U.S.A.. Erano pochi coloro che volevano restare e, per di più, c’era sempre il dubbio che si trattasse di montature della CIA. Oswald, semplicemente, non lo volevamo e pensammo di rimandarlo a casa. La sorveglianza discreta, ma intensa, alla quale era stato sottoposto dal KGB di Minsk, non aveva rivelato nulla d’interessante”. Aggiunge Vladimir Semichastny, successivamente capo del KGB: “La CIA o l ‘ FBI davvero avrebbero usato un tale derelitto per combatterci? Avrebbero dovuto veramente essere con l ‘ acqua alla gola per farlo. Ho sempre avuto un grande rispetto per CIA e FBI, conosco i loro metodi e quello di cui sono capaci. Era chiaro che Oswald non era un agente e non poteva essere un agente, né del Servizio Segreto, né della CIA, né dell’FBI”. I funzionari del KGB di Minsk, Igor Guzmin e Stepan Grigoriev si chiedevano se la sua psiche fosse del tutto normale. Il loro collega Oleg Nechiporenko, del KGB di Città del Messico, aggiunge che “Oswald era troppo instabile”. Il “pentimento” di Oswald, che chiede all’ambasciata di Mosca di riavere il suo passaporto per fare ritorno in U.S.A., è accolto con soddisfazione dal console Snyder e dal personale del¬la rappresentanza diplomatica: Oswald, deluso dall’ U.R.S.S., potrebbe rappresentare un ottimo strumento propagandistico antisovietico per il Dipartimento di Stato. Il suo atteggiamento è però imbarazzante per l’immagine degli U.S.A.: “Crediamo che sia interesse degli Stati Uniti – scrivono da Washington – consentire il rientro di Lee Harvey Oswald e della sua famiglia dall’ Unione Sovietica. E’ un carattere instabile e imprevedibile”. L’ex- Marine non ha mai perduto la cittadinanza statunitense, giura di non aver rivelato segreti militari ai Russi, si dice deluso dall’ Unione Sovietica e vuole tornare a casa. Snyder non ha difficoltà a rilasciargli il passaporto e scrive al Dipartimento: “Venti mesi di reale vita sovietica hanno chiaramente maturato Oswald: ora ammette francamente di aver ricevuto una dura lezione e di essersi ricreduto sull’U.R.S.S. Nello stesso tempo sembra aver acquisito una nuova comprensione e apprezzamento degli Stati Uniti e del significato della libertà”. Neanche a New Orleans Lee avrà difficoltà a ottenere, il 25 giugno 1963, un nuovo passaporto: secondo Jim Marrs prova certa della sua appartenenza ai servizi segreti. In realtà, il Servizio Passaporti ha istituito alcuni mesi prima un nuovo collegamento diretto via telex con Washington: dopo un rapido controllo, si provvede all’emissione del nuovo documento. Non c’è, neanche qui, motivo di pensare a un trattamento particolare .
        (c) Oswald rientra in U.S.A. L’ HSCA ha accertato che, al rientro negli U.S.A., Oswald è stato interrogato dalla Domestic Contact Division, che ha trovato il suo caso di “importanza marginale”. Tra il 1958 e il 1963 la CIA non ha mai automaticamente privato dei suoi diritti i disertori tornati nel Paese, mentre l ‘ FBI ha svolto di norma indagini più accurate e interrogatori più frequenti. Dei ventidue disertori americani rientrati in U.S.A. in quel periodo, la CIA ne ha sottoposti a interrogatorio solo cinque, soprattutto in relazione ad argomenti di particolare importanza per i servizi d’informazione. Dopo il suo rientro negli Stati Uniti, il consigliere della Texas Employment Commission (Ufficio di Collocamento), Helen Cunningham, procura a Oswald due appuntamenti di lavoro. Il primo è presso uno studio di architettura, il secondo è presso un ‘ azienda grafica di Dallas, la Jaggars-Chiles-Stovall Co., dove l ‘ ex- Marine viene assunto l ‘11 ottobre 1962. La ditta stampa fotografie, giornali, settimanali e pubblicazioni commerciali, nonché caratteri per le mappe dell’Esercito, cosa che induce al sospetto i critici complottisti. Quest’ ultimo lavoro tuttavia non è segreto, dato che parole, lettere e figure per le mappe non sono correlate. Solo il committente ne conosce l’uso finale. Le carte planimetriche complete non sono stampate dalla ditta. Tuttavia, i tecnici grafici che si occupano di quel materiale sono scelti con criteri di sicurezza: Oswald non è fra questi e non ha il permesso d ‘ accesso a quel settore specifico. Non è provato che ci sia qualcosa di sospetto nel suo impiego come apprendista presso quella ditta. Tuttavia, i suoi progressi sul lavoro sono molto scarsi e i colleghi si lamentano del suo pessimo carattere. Il 6 aprile 1963 viene licenziato per scarso rendimento: ne rimane sconvolto, perché quell’ impiego lo appassionava. Nonostante le sue simpatie marxiste, Oswald, tramite l ‘ ufficio di collocamento, che lo indirizza all’ ingegnere d ‘ origine ucraina Peter Paul Gregory, entra in contatto con la comunità russa di Dallas-Fort Worth, formata da anticomunisti convinti. In realtà, l ‘ interesse di questi ultimi è rivolto soprattutto a Marina, piuttosto che a Lee: tutti trovano lui scostante fanatico e arrogante, mentre sua moglie appare una vittima indifesa, alla quale egli non permette di fumare, truccarsi, imparare l’inglese, avere le più elementari comodità. Le condizioni miserande degli Oswald creano una gara di solidarietà fra gli esuli, che regalano a Marina vestiti, giocattoli e alimenti per la famiglia. Ben presto, però, l’atteggiamento di Lee gli aliena le simpatie di tutti gli amici, anche di Ruth e Michael Paine, una coppia di Irving alla quale sono legati.
        (d) I coniugi Paine. Michael Paine, di ottima famiglia, si è separato da sua moglie Ruth, ma i due sono rimasti in buoni rapporti e le visite dell’ex-marito sono sempre gradite a Irving, soprattutto dai due figli della coppia. Paine è un pacifista, un intellettuale. Insieme a sua moglie, una quacchera austera e di grande forza morale, appartiene a una minoranza politica libera¬le: suo padre è stato un acceso trotzkista ed egli è intensamente interessato al dibattito politico e al confronto delle idee. Norman Mailer riporta addirittura che “i servizi segreti nutrivano sospetti sui Paine. Michael è attivista dell’ACLU, l’ Unione per le Libertà Civili in America e ciò lo bolla agli occhi delle autorità del Texas come radicale. Al contrario di moltissimi Texani, apprezza e ammira il presidente Kennedy: questo sarebbe l’uomo che, per Stone e Garrison, “ha legami” con la CIA. Come fanno a saperlo? E’ semplice: basta creare, come al solito, dei “collegamenti”. Michael Paine è progettista alla fabbrica di elicotteri Bell; la Bell produce anche elicotteri militari per le Forze Armate del Pentagono; il Pentagono ha ufficiali di collegamento con la CIA: il gioco è presto fatto. Oppure c’è un’altra strada: Michael discende dai nobili Cabot; è secondo cugino di Thomas Dudley Cabot, direttore della United Fruit Company/Gibraltar Steamship; la United Fruit è in rapporti con la CIA: ergo…Questa ridicola, assurda “proprietà transitiva” può essere applicata a chiunque, anche alla stessa Ruth Paine, che per Garrison è ovviamente sospettabile: non era stato forse suo padre un dipendente dell’Agenzia per lo Sviluppo Internazionale? Non vi lavorava ancora un suo cognato, nell’area di Washington? E non avvengono, sotto la presidenza Carter, alcune infiltrazioni di uomini CIA in quell’organismo? Con questa tecnica, potrei agevolmente dimostrare, per pura ipotesi, che un prozio del segretario del PDS Massimo D’Alema (o di Walter Veltroni o di Fausto Bertinotti o di Luigi Berlinguer o di Achille Occhetto) è stato Camicia Nera; che un fratello di suo padre era iscritto al Partito Nazionale Fascista; che un cugino di una sua zia materna era volontario nella guerra d ‘ Africa. Potrei arguirne, con la tecnica dei “collegamenti”, che D ‘ Alema e gli altri possono essere di certo sospettati di parentele reazionarie…

        Nota 579. Oswald e la lingua russa: G. Posner, op. cit., pp. 64 – 65; O. Stone – Z. Sklar, op. cit., pp. 31, 48 – 49; “ Oswald Studied Russian in Corp “, THE N.Y. TIMES, 5 dic. 1963, p. 36; “ Oswald Sought to Study Russian in Language School as a Marine “, THE N. Y. TIMES, 24 dic. 1963, p. 6; “ Il mio russo è ancora pessimo… Il suo Russo non faceva affatto progressi… Il suo Russo faceva ridere…Oswald trovava il Russo difficilissimo…All ‘ inizio il suo vocabolario era scarsissimo… Il suo Russo era cattivo… Parlava Russo con accento straniero… Parlava bene il Russo, adesso. Con accento straniero, cattiva pronuncia, ma riusciva a esprimersi… Il suo Russo era migliorato, faceva continui progressi… manco è buono a parlare come si deve… La lingua russa era stata difficile… Lui aveva sempre fatto errori di pronuncia… Durante il servizio nei Marines non andò oltre i primi rudimenti di Russo…”, N.Mailer, Il racconto…, op. cit., pp. 72, 104, 106, 113, 135, 205, 211, 231, 296, 366, 458, 745; J. Garrison, Sulle tracce…, op. cit., pp. 25 – 26
        Nota 580. Oswald e il KGB: “CBS Reports KGB Held Oswald Unstable, According to Defector to U.S., Lt. Col. Yuri Nosenko”, THE N.Y. TIMES, 10 mag. 1975, p. 10; G. Posner, op. cit. , pp. 35, 48 – 52, 56 nota, 74 – 75 ; N. Mailer, Il racconto… , op. cit., pp. 117, 263 – 285, 300, 329, 473, 475
        Nota 581. Oswald rientra in U.S.A.: G. Posner, op. cit., p. 79 nota, 90 – 91; O. Stone – Z. Sklar, op. cit., p. 52 ; J. Marrs, op. cit., pp. 113 – 114, 283 – 284; Warren Report, pp. 280 – 312, 394 – 415, 713; J. R. Duffy, pp. 99 – 105; N. Mailer, Il racconto…, op. cit., pp. 528 – 529, 606 – 607;

        Rispondi
  • 8 Dicembre 2016 in 22:40
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    Ok, è tutto spiegato abbastanza bene, però c’è ancora una cosa che è rimasta in dubbio, perchè oswald avrebbe dovuto uccidere il presidente degli stati uniti? e soprattutto lui ammise di essere stato incastrato.

    Rispondi
    • 3 Agosto 2017 in 21:04
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      nico99
      8 dicembre 2016 in 22:40
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      Ok, è tutto spiegato abbastanza bene, però c’è ancora una cosa che è rimasta in dubbio, perchè oswald avrebbe dovuto uccidere il presidente degli stati uniti? e soprattutto lui ammise di essere stato incastrato.

      Risposta per nico 99. Dal mio libro pp. 385-398. Abbia la pazienza di leggere TUTTO, per cortesia

      1) Perché Oswald ha sparato?
      Rispondere a questa domanda implica un tuffo infinito negli abissi della psiche umana, nella filosofia della vita, nelle profondità della coscienza, nel destino segnato al quale la ragione non crede. Ho già accennato alla personalità degli attentatori (vedi pp. 63-67, 94). Norman Mailer ha cercato, come Don De Lillo, William Manchester e Priscilla Johnson McMillan prima di lui, di scandagliare l’animo di Lee e di tirarne fuori le nevrosi, le frustrazioni, le angosce infantili, i desideri repressi, i complessi alternati di inferiorità (che lo facevano piangere al buio dopo essere stato umiliato dalla moglie) e di superiorità (che lo rendevano odioso ai suoi commilitoni e violento con i familiari), le improvvise e “normali” dolcezze di giovane padre verso le sue bambine. È un viaggio tragicamente complesso e affascinante, al termine del quale non si può non convenire con Mailer che sì, Lee ha ucciso il Presidente e ha voluto giocare la sua vita con i poliziotti come in un supremo, glorioso suicidio. Il suo ghigno dopo la cattura sembrava sfidarli: “Incastratemi, se siete bravi. Sono stato io, ma negherò tutto, anche l’evidenza delle prove che ho seminato dietro di me”. La sua grande occasione è giunta: avrà un processo, lo condanneranno per l’omicidio di Tippit (un buon avvocato potrà forse fargli ottenere le attenuanti della legittima difesa o della provocazione) e per resistenza all’arresto e forse per aver portato il fucile al deposito, ma nessuno potrà mai provare che ha sparato a Kennedy: il sospetto ingigantirà il suo nome nella Storia. S’inventerà che il fucile lo avrebbe portato da un armaiolo per una riparazione, dopo l’uscita dal lavoro: qualcun altro può aver visto l’arma e averla usata a sua insaputa contro il Presidente, mentre lui se ne stava in sala mensa. Il gioco è lungo, contorto. E Lee è giovane, ha tutto il tempo per diventare una celebrità carceraria come Caryl Chessman, il “bandito della luce rossa”, o Robert Stroud, “l’ornitologo di Alcatraz”. Il suo sogno: essere finalmente qualcuno, dimostrare a sua moglie – che lo ha lasciato per andare a vivere con una donna divorziata – e alle sue figlie che è diventato famoso, che non è più una nullità. Scrive Mailer: “Marina, vivendo con Ruth, è adesso relativamente emancipata. Non ha più bisogno di lui per sopravvivere… Non vorrà più saperne di lui. Profondo è il bisogno d’amore di Lee, anche se è scarsa la sua capacità d’amare. L’amore è una salvaguardia, per lo scagliarsi fisicamente contro tutto il genere umano. Se Kennedy era, al momento, il più bell’esemplare della specie americana, l’ansietà di Lee per l’amore o il disamore di Marina doveva essere molto forte, la notte precedente l’arrivo di Kennedy. Kennedy era un uomo che qualsiasi donna (e in special modo Marina) avrebbe trovato più attraente di lui… Nessuna fossa era tanto profonda, per lui, quanto l’abisso dell’amore non corrisposto… L’ultima sera Lee appare a Ruth tranquillo, ma Oswald ha in realtà raggiunto quel livello di serenità cui alcuni pervengono alla vigilia di una battaglia, allorché l’ansia è tanto profonda da sembrare una quieta esaltazione: finalmente tu stai per buttarti in un’azione la cui portata è pari all’importanza della tua stessa vita”. Don De Lillo immagina Lee dopo la cattura: “Lee Harvey Oswald era sveglio nella sua cella. Stava cominciando a venirgli in mente di aver trovato il lavoro della sua vita. Dopo il crimine sopraggiunge la ricostruzione. Avrà dei moventi da analizzare, l’intera questione della verità e della colpa. Tempo per riflettere, tempo per rivoltare questa cosa nella sua mente. Ecco un crimine che chiaramente fornisce materiale per una profonda interpretazione. Sarà in grado di spiegare il significato di quel momento, ombre fisse sul prato, la limousine scintillante e ferma. Tempo per sviluppare la conoscenza di sé, per esplorare il significato di ciò che aveva fatto. Varierà l’azione centinaia di volte, la farà andare più in fretta e più lentamente, sposterà l’enfasi, individuerà le sfumature, vedrà la sua intera vita mutare. Questo era il vero inizio. Gli daranno carta e libri. Riempirà la sua cella di volumi su quel caso. Avrà tempo per istruirsi in diritto penale, in balistica, acustica, fotografia. Esaminerà qualunque fatto pertinente al caso. Verrà gente a trovarlo. Prima avvocati, poi psicologi, storici, biografi. Adesso la sua vita possedeva un soggetto unico e distinto, chiamato Lee Harvey Oswald. Lui e Kennedy erano legati tra loro. La figura del killer alla finestra era inseparabile dalla vittima e dalla sua storia. Era questo ciò che sosteneva Oswald nella sua cella. Gli dava ciò di cui aveva bisogno per vivere. Quanto più tempo avrebbe trascorso in cella, tanto più forte sarebbe diventato. Adesso tutti sapevano chi era. Questo gli dava forza. Stava chiaramente cominciando un periodo migliore, il tempo di un profondo studio del caso, di autoanalisi e di ricostruzione. Non vedeva più la prigionia come la maledizione di tutta una vita. Aveva scoperto la verità di una cella. Avrebbe facilmente potuto vivere in una cella grande la metà di quella”. Un altro autore che, attraverso la finzione drammaturgica, ha cercato di scandagliare la psicologia di Oswald è Franco Brusati: nel suo lavoro teatrale (portato in scena da Giorgio Albertazzi, Anna Proclemer e Sergio Tòfano nel 1966 per la regia di Valerio Zurlini) egli afferma di non credere affatto che “l’assassino sia un mostro eccezionale, ma qualcosa di molto più allarmante: un prodotto tipico del nostro tempo, il piccolo uomo che cerca, senza averne i mezzi, di emergere sopra la massa. Per non dover constatare il proprio fallimento, evade nell’irreale e nella follia”. Sostiene Luciano De Crescenzo: “Nel quarto secolo avanti Cristo un vecchietto di nome Eròstrato, in crisi d’identità, incendiò il tempio di Artemide a Efeso solo per dimostrare a se stesso e agli altri che era ancora vivo. Il suo ragionamento fu pressappoco questo: “Sono arrivato a ottant’anni senza aver fatto nulla d’importante… Devo assolutamente fare qualcosa per entrare nella Storia”. Credo che la dimostrazione della propria esistenza sia un bisogno irrinunciabile dell’animo umano. C’è chi ci riesce con il lavoro, chi con l’arte e chi purtroppo col crimine. Se poi si pensa alla potenza amplificatrice della televisione e dei giornali, ci si rende subito conto del perché gli attentati avvengono sempre in concomitanza di avvenimenti importanti”. Aldo Carotenuto, professore di Psicologia all’Università “La Sapienza” di Roma, mi ha confermato il “complesso di Eròstrato” di Oswald (vedi qui p. 65) e ha aggiunto: “Più che diventare famoso, Oswald voleva diventare famigerato, che ha un significato ovviamente negativo. Molte persone hanno un tale complesso d’inferiorità che farebbero qualunque cosa pur di venire alla luce. Prenda Donatella Di Rosa, Lady Golpe: ha raccontato di tutto per andare sui giornali e in televisione e alla fine ci è riuscita. L’assassino di Kennedy doveva colpire una persona veramente importante per salire alla ribalta. Io penso che sia questo il problema: una persona con un grosso complesso d’inferiorità che cerca comunque la fama, e la trova uccidendo Kennedy, perché se avesse ucciso un poveraccio nessuno avrebbe parlato di lui. Oswald ha lasciato dietro di sé delle tracce e voleva essere catturato perché la gente doveva sapere che era stato lui, voleva che si parlasse del suo gesto. E infatti il suo nome resterà nei libri di Storia accanto a quello di Kennedy. Dopo l’arresto ha tenuto quell’atteggiamento freddo e controllato che ci fa pensare a una psicopatia: è tipico dello psicopatico fare dei gesti anche esagerati ed efferati senza mostrare la propria commozione, senza che risulti dal loro atteggiamento qualcosa che li coinvolga. Per uno psicopatico è normale questa tranquillità”. Ha detto Ruth Paine, amica degli Oswald, a Enzo Biagi: “Penso che per un morboso desiderio di volersi affermare avesse cercato già da molto tempo di compiere un gesto clamoroso… Non era una persona capace… Anche questo credo fosse un tentativo di trovare una specie di forma, spaventosa, tremenda, di affermazione. Un tentativo, cioè, di imporsi sugli altri. Di raggiungere qualche cosa per cui la gente avrebbe dovuto dire: Ecco, questo è un uomo straordinario”. Il professor Ugo Fornari, ordinario di psichiatria forense all’Università di Torino, ha realizzato un ritratto dei criminali psicopatici: “Sentono la loro esistenza come negativa e degradata, vivono forti sensi d’inferiorità, fisica, psichica, sociale e sessuale. Si sentono inadeguati, insicuri, rifiutati e disperatamente soli, e compensano queste mancanze con un forte narcisismo e uno sfrenato bisogno di protagonismo”. Aggiunge lo psichiatra Paolo Crepet: “La gente, solitamente, quando pensa alla follia, evoca subito la disgregazione del pensiero, la confusione mentale, V’insalata di parole. Non è così… Un soggetto in preda a una lucida follia… dimostra infatti di possedere uno stato di coscienza notevole; un pensiero ben organizzato (anche troppo) su cui esercita un vigile controllo, così come fa con le emozioni. È una persona spasmodicamente attenta a non farsi sfuggire nulla. Attenta a non lasciarsi andare. Questa sua rigidità probabilmente risente del rapporto con la madre, il cui ruolo non credo sia stato liberatorio”. Leone Dongo, sul quotidiano La Notte: “C’è un solo complice nell’ombra che ha spinto l’ex Marine a premere tre volte il grilletto: una forma di pazzia che lo portava a vendicarsi della società in cui non riusciva in nessun modo a inserirsi”. Luciano Marella, su Rotosei: “Oswald non ha interrotto la tradizione dell’attentatore psicopatico che agisce per impulso personale e mania di far parlare di sé il mondo”. Oswald non provava particolare avversione per la figura di Kennedy: non esiste nessuna testimonianza in questo senso, se si eccettuano alcune sue considerazioni negative sull’atteggiamento del Presidente verso Castro. Tuttavia J.F.K. rappresentava tutto ciò che egli non era e non sarebbe mai stato. Scrive Helmut Schoeck: “Le lettere e le dichiarazioni scritte dall’assassino del presidente Kennedy escludono pressoché ogni dubbio che il motivo centrale che spinse Lee Harvey Oswald sia stato l’invidia per la gente felice e fortunata, e che il giovane Presidente sia stato assassinato appunto in quanto concretamente e in modo unico favorito dalla fortuna. Se, nei limiti concessi dalla documentazione biografica pubblicata, potessimo immedesimarci nell’animo di Oswald, non saremmo certamente lontani dal vero se pensassimo che un Presidente con meno fascino e più anziano, con una moglie non appariscente e che non comparisse quasi quotidianamente sui giornali e alla televisione quale esempio di moderna vita regale, sarebbe stato al sicuro dall’arma di Oswald… Secondo Fromm, il piacere sadico di distruggere, quale sostituto di un’attività produttiva fallita o impedita, è il risultato inevitabile di una vita non vissuta e deformata”. Nota Nerin E. Gun: “Il dottor Lewis Robbins, direttore di una nota clinica di New York, ha studiato la personalità di Oswald, in base alle sue azioni, e sostiene che si trattava di un paranoico, di uno psicopatico il quale lascia intenzionalmente le tracce del suo passaggio, perché, nel subcosciente, avverte un confuso desiderio di punizione…”. Aggiunge Renato Proni: “E abbastanza noto che il criminale psicopatico, come era Oswald, lascia spesso ben visibili le prove dei suoi delitti, perché nel suo subcosciente vuole essere arrestato e punito… Nessuno saprà mai con esattezza perché Oswald uccise. Possiamo solo trarre delle illazioni dal suo comportamento, dalle sue fantasie, dal suo carattere, dal suo desiderio di emergere a tutti i costi: anche quando si trovava sotto l’accusa di aver assassinato Kennedy, Oswald ci teneva ad essere fotografato… viveva in un mondo fantastico di sua creazione. Non era pazzo nel senso in cui questo termine viene generalmente usato, ma era uno psicopatico in fase progressiva… Lo fece solo perché l’occasione di emergere, sia pure in senso negativo, appaiata alla sua confusione politica e mentale, gli si presentò? La questione delle sue idee politiche appare superata, data la sua ovvia confusione mentale, che non contrasta clinicamente con la sua freddezza nel mirare all’auto presidenziale. La risposta sicura sul movente di Oswald non si saprà mai, ma che fosse colpevole possiamo crederlo oltre ogni ragionevole dubbio, come vuole la legge del Texas… Erano cinquantamila le persone che volevano uccidere Kennedy: uno psicopatico, ma non un pazzo nel senso legale del termine, ci è riuscito”. Riferendosi ad Andrew Cunanan, l’assassino dello stilista italiano Gianni Versace, Leonardo Coen scrive: “…Ha lasciato tante e troppe tracce di sé che basterebbero a riempire la trama di un romanzo. Come a voler irridere gli investigatori : Catch me ifyou can, prendetemi se ne siete capaci, avrebbe lasciato scritto da qualche parte”. Richard Barreto, capo della polizia di Miami, ha rivelato al giornalista italiano Marco De Martino i comportamenti dell’assassino di Versace, simili a quelli di Oswald dopo il delitto: “Non credo che Cunanan fosse un killer così esperto… Pensa che la polizia sia già sulle su tracce… va al suo furgone, si cambia gli abiti macchiati di sangue e li abbandona per terra, scappa. Alla fine farà solo sessanta isolati prima di raggiungere la casa sul fiume… E evidente che a guidarlo è più l’emozione che la logica… Perché chi è nel suo stato mentale fa cose stupide… L’ipotesi che la mafia abbia ingaggiato Cunanan come killer non sta in piedi. Fantascienza. Però capisco che è una bella storia per chi scrive”. Augusto Marcelli su L’Europeo: “Secondo il giudice Sarah Hughes, non vi sono dubbi che Kennedy sia stato assassinato da Lee Oswald. L’ipotesi più obiettiva da prendere in considerazione è che Oswald sia almeno un paranoico… Soltanto un pazzo. Da non assegnare né alla destra né alla sinistra, ma al manicomio”. Il Corriere Lombardo: “E incredibile. Chi può aver ucciso Kennedy? Oswald non era un razzista? E allora chi era? Forse un pazzo. Ma può un pazzo dare uno scossone alla storia?”. Oleg Nechiporenko, il colonnello del KGB che ricevette Oswald a Città del Messico: “Sparando a Kennedy, Oswald sparò a se stesso. Fu un suicidio”. William Manchester osserva: “L’assassino di Dallas non fa parte di un complotto criminale di tipo tradizionale. Questo è ammesso. Certi moventi sono al di là delle regole della prova… Lee Oswald era definito un solitario. Ma i solitari non esistono. Nessun uomo vive nel vuoto. Ogni suo atto è condizionato dal suo tempo e dalla sua società… In lui si erano formati irreversibili schemi di comportamento: era diventato truculento con gli uomini e insufficiente con le donne, facile all’ira con gli uni e con le altre… La verità nuda e cruda era che non gliene andava bene una… Nessuno lo voleva, nessuno lo aveva mai voluto… Lee Harvey Oswald era diventato l’uomo più respinto del suo tempo. Non è troppo dire che era diametralmente l’opposto di Kennedy, e lui se ne rendeva conto. Sin dall’infanzia Oswald era stato minacciato da un preciso disturbo mentale, la paranoia. Il paranoico finisce sempre per perdere ogni senso della realtà. È oppresso dal peso di un mostruoso risentimento personale e da un cieco desiderio di rivincita… Nessuno può prevedere che cosa provocherà la catastrofe in un caso determinato… Nella fuga della psicosi di Lee c’era una vena equilibrata, la sua prestazione come padre. Ora sua moglie e Ruth Paine gli negavano anche questo. Lo avevano frodato, o si era frodato da solo, della sua virilità. Ormai Ruth e sua moglie avevano stabilito una relazione più soddisfacente di qualunque cosa egli avesse mai offerto a Marina. Era una compagna migliore, una padrona di casa più efficiente e aveva anche più soldi di lui. D’accordo, Lee era un maschio. Ma sua moglie aveva criticato in pubblico la sua virilità insufficiente… Lee raggiunse le due donne in Texas il 4 ottobre ma nessuna delle due lo voleva: doveva accettare il suo status di estraneo in quella che era stata la sua famiglia, doveva imparare ad accettare il fatto che sua moglie si era fatta una nuova famiglia. Ma Lee voleva che Marina lasciasse Ruth. Era stanco di vivere solo. La preferenza di Marina per Ruth gli era intollerabile… L’ultima sera Marina gli chiese una lavatrice per i panni delle bambine e Lee, disposto ormai a ingoiare qualunque umiliazione, gliela promise. Poi scoprì che Marina aveva solo voluto prendersi gioco di lui. Sarcasticamente sua moglie gli disse di spendere pure i soldi come preferiva. Non aveva bisogno della sua generosità. Aveva trovato un rifugio, qui con Ruth. Poteva fare a meno di lui. Quello, per Oswald, può ben essere stato il punto di rottura. Non gli restava più nulla, nemmeno l’orgoglio. Dopo l’umiliazione inflittagli dalla moglie, Lee abbandonò ogni tentativo di convincerla a tornare insieme e si mise in silenzio a guardare la televisione. In apparenza Oswald seguiva con profonda attenzione le immagini che apparivano sullo schermo… In realtà stava impazzendo. La pazzia non è un virus. Non colpisce tutto in una volta. Il morbo di Lee durava da quando era nato. Marina e Ruth avevano a che fare con un anormale il cui groviglio di problemi esisteva molto tempo prima che l’una o l’altra l’avessero conosciuto. Con tutto ciò, la scossa del suo confronto con la moglie, il 21 novembre, sembra essere stata decisiva”. Scrive Edmund Aubrey: “A Oswald era stato negato tutto… Era un uomo meschino, le sue ambizioni frustrate, il suo futuro incerto e il suo matrimonio infelice… Un uomo che, politicamente parlando, aveva cessato di credere in qualsiasi cosa… Poteva benissimo essere il potenziale assassino di un presidente bello, ricco, potente, con una bella moglie… E’ possibile che fosse rimasto deluso sia dall’Est che dall’Ovest e si fosse lasciato affascinare da qualche velleità romantica di potersi vendicare di entrambi quei sistemi che lo avevano tradito… Forse le sue azioni del 22 novembre sono l’estremo addio di un uomo che era rimasto vittima di sistemi politici antagonisti… Ma in lui non c’era la follia del vero psicopatico… Non era pazzo… Era astuto, dotato di un’intelligenza superiore alla media, anche se il suo cervello era grezzo e disorganizzato… Dopo la cattura si dimostrò lucido e conscio dei propri diritti… Se l’ipotesi ufficiale è esatta, rimane da capire perché Oswald cercò così disperatamente di sfuggire alla cattura. Il Rapporto Warren sostiene che era pronto a uccidere un poliziotto pur di non essere identificato e arrestato. Può anche darsi che fosse in preda al panico, ma certo il suo comportamento non è stato quello di un uomo che cercava la gloria… Non era un martire, a meno che non avesse cambiato misteriosamente e inspiegabilmente idea mentre sparava i colpi fatali… Forse non si aspettava di essere arrestato poiché era convinto già in precedenza che non sarebbe stato accusato dell’assassinio… Naturalmente, non posso trascurare quel lato della mentalità criminale che è l’inconscio desiderio di essere catturati… I più riposti processi decisionali, e in special modo quelli degli psicopatici, spesso sfuggono al raziocinio delle menti ordinate”. Conclude il neuropsichiatra Fausto Antonini: “Finché non ci si convincerà che la mente umana è estremamente complessa e che non si può ridurre a uno schema ideologico o a una bonarietà ottusa da bovini, atteggiamento da non assumere verso la follia e soprattutto verso la follia omicida, non si potrà fare un passo avanti, e i delitti aumenteranno giorno per giorno. La verità è che nell’inconscio esistono una quantità di archetipi, di modelli, di strutture precostituite, che hanno probabilmente deposito nelle strutture di trasmissione ereditaria dei geni. Alcune di queste condizioni di comportamento, di queste costellazioni di carattere, possono rimanere latenti così come avviene in campo biologico per alcuni microrganismi. Ma possono, proprio come nella biologia, improvvisamente e senza apparente motivo, né interno né esterno, virulentarsi”. Un’analisi dei precedenti della vita di Oswald, desunti da suoi scritti e dalle testimonianze di conoscenti, amici e congiunti (nonché dall’analisi psichiatrica alla quale fu sottoposto durante l’adolescenza), porta alla conclusione che Lee era una persona troppo squilibrata per entrare a far parte di un qualunque complotto organizzato, anche come semplice e inconsapevole capro espiatorio. Le circostanze del tutto casuali del suo impiego al Depository e quelle fortuite relative al corteo presidenziale (vedi qui pp. 88-96) escludono che egli facesse parte di qualunque congiura.

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    • 3 Agosto 2017 in 21:34
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      2) C’era qualcuno dietro Lee Harvey Oswald?
      Se dicendo “qualcuno” ritengo di poter invalidare l’ipotesi di un gruppo di cospiratori, mai finora identificati, non posso invece escludere a priori l’influenza di persone vicine a Lee che avessero interesse a lasciargli commettere l’attentato o comunque a indurlo anche involontariamente, con i loro discorsi, a tentare di assassinare qualcuno d’importante. Le persone potenzialmente sospettabili, ma sulle quali l’HSCA non ha trovato prove di alcun tipo, sono George De Mohrenschildt, Carlos Bringuier, David Ferrie, Charles Dutz Murret, Adrian Alba. Quali discorsi avrebbero potuto spingere Oswald a commettere l’assassinio? De Mohrenschildt, in rapporti con un agente del servizio Domestic Contact Division della CIA (vedi qui pp. 209,263, 265), e Charles Dutz Murret, lo zio di Lee socio di un ex autista del mafioso Carlos Marcello (vedi qui p. 370), possono aver colto qualche voce nel sottobosco del loro ambiente e commentato in presenza di Lee: “Qualcuno va dicendo che vogliono fare la pelle al Presidente durante il suo prossimo viaggio in Texas. Immagina cosa succederebbe, Lee. Certo… occorre coraggio per fare una cosa del genere “. Bringuier, acceso anticastrista, ha parlato a lungo con Lee e non è escluso che possa aver esclamato, ad esempio: “Quel hijo de puta di Kennedy andrebbe fatto fuori! Con Johnson alla Casa Bianca, Castro la finirebbe di
      fare la voce grossa, gli Stati Uniti gli darebbero una lezione. Ci vorrebbe qualcuno con un po’ di fegato per mettere le cose a posto come si deve!”. Né è escluso che Bringuier abbia indirizzato Oswald ad altri anticastristi nella zona di Dallas, prima di rompere i rapporti con lui. Se l’episodio riferito da Silvia Odio fosse vero (vedi qui pp. 283, 360, 368), gli esuli cubani avrebbero “caricato” psicologicamente Oswald a compiere l’attentato o avrebbero presentato alla Odio un sosia di Lee dicendo che il suo nome era Oswald. Leopoldo, il capo dei tre Cubani che fecero visita alla Odio, le telefonò il giorno dopo: “Che ne pensi dell’Americano? Sai, vogliamo presentarlo alla Resistenza clandestina, a Cuba, perché è grande, è un gran matto. Dice che non abbiamo fegato perché non abbiamo ucciso Kennedy dopo la Baia dei Porci. E stato nei Marines, ha una gran voglia di aiutarci, è formidabile…”. Lee non sarebbe mai stato utilizzato in un vero complotto, ma gli esuli, al corrente dei suoi propositi, lo avrebbero lasciato fare: se fosse riuscito a uccidere Kennedy di sua iniziativa, nessun anticastrista sarebbe stato
      coinvolto direttamente e si sarebbe ottenuto un uomo nuovo alla Casa Bianca senza rischio e senza organizzare nessuna cospirazione. Sarebbe bastato far agire per conto suo il “Marine matto”, magari promettendogli vagamente che dopo l’assassinio non lo avrebbero abbandonato. Non riesco però a comprendere perché gli esuli cubani – ammesso che fossero tali e non agenti infiltrati dal controspionaggio – avrebbero dovuto, con la visita alla Odio del
      vero Oswald o di un suo sosia, far cadere i sospetti del futuro assassinio del Presidente sulle loro organizzazioni, dopo le già notevoli restrizioni alle attività anticastriste messe in atto dall’FBI solo due mesi prima. Che scopo poteva avere quella visita così apertamente rivelatrice? Leopoldo non raccomandò mai alla Odio di non parlare a nessuno del loro incontro. Se si fosse scoperto, tramite la donna, che Oswald aveva agito per la loro causa, il ministro della Giustizia Robert Kennedy avrebbe preteso dal suo – almeno nominalmente – sottoposto J. Edgar Hoover di portare sul banco degli imputati lo JURE, Alpha 66 e le altre organizzazioni di esuli cubani operanti in Florida, in Texas e in Louisiana come sospette dell’uccisione del Presidente. Non dissimili potrebbero essere i discorsi fatti da David Ferrie, se fossero provati i suoi contatti con Lee. Lo scrittore Don De Lillo ha tentato di immaginarli: “C’è qualcos’altro che genera questo avvenimento. Un disegno al di là dell’esperienza. Qualcosa che ti scaglia fuori dal vortice della storia. Credo che tu abbia sempre capito il contrario. Volevi entrare nella
      storia. Approccio sbagliato, Lee. Ciò che veramente vuoi è esserne fuori. Escine. Salta fuori. Trova il tuo posto e il tuo nome a un altro livello”. Adrian Alba, il gestore del Crescent City Garage di New Orleans, era invece un maniaco dei fucili ed era abbonato ad alcune riviste di armi. Lee lo andava spesso a trovare durante il lavoro e si attardava con lui a parlare di proiettili efficaci per uccidere persone e di prestazioni balistiche. Ascoltando questi discorsi, può aver pensato Oswald di afferrare l’occasione giusta che gli si presentava, precedendo tutti gli eventuali attentati in preparazione contro Kennedy? Può aver pensato che, se il Presidente fosse giunto indenne a Fort Worth la sera del 21 novembre, egli avrebbe fatto bene a prendere da casa Paine a Irving il suo fucile da portare a Dallas la mattina dopo? Può aver pensato che la circostanza del corteo presidenziale che sarebbe passato sotto le finestre del deposito di libri, come riportavano i quotidiani, fosse un segno preciso del destino per permettergli di realizzare la “grande azione” della sua vita? Io credo di sì. L’indagine dell’HSCA ha dimostrato che Oswald e Ruby non erano due isolati come pretendeva il Rapporto Warren, ma erano in contatto con persone sospettabili di attività illecite o quanto meno inconsuete. Non è certamente la prova di una cospirazione, ma è plausibile che questi individui possano aver avuto effetti scatenanti sulla psiche disastrata dell’ex Marine e di Ruby. Solo in questo senso si può rispondere alla domanda se dietro l’assassino di Kennedy ci fosse o no “qualcuno”. Si comprende anche l’imbarazzo dell’FBI e della CIA dopo l’attentato: questi due enti, che erano certamente più vicini a Oswald di quanto abbiano in seguito ammesso davanti alla Commissione Warren, avrebbero dovuto sorvegliarlo e controllarlo. L’azione folle dell’ex Marine produsse il panico ai vertici delle due organizzazioni: un ramo “sporco” dell’FBI aveva forse pagato saltuariamente Lee per ottenere informazioni sul suo periodo in Russia e sugli esuli anticastristi da lui avvicinati, ma probabilmente non aveva interesse a che il polverone sollevato dall’uccisione di Kennedy coinvolgesse Hoover e i vertici del Bureau per non aver segnalato al Servizio Segreto e alla polizia locale il pericolo rappresentato da Oswald a Dallas.
      Il servizio di controspionaggio della CIA, da parte sua, non era affatto certo che Oswald non fosse stato indottrinato dal KGB per tornare negli Stati Uniti come spia di Mosca, seppure a bassissimo livello. Le rivelazioni di Yuri Nosenko (la spia del KGB passata agli Americani all’inizio del 1964, vedi qui pp. 149-150, 259, 264), secondo le quali i Sovietici non avevano avuto nessun interesse a reclutare un tipo instabile come Lee, non convincevano un settore importante dell’Agency, quello diretto da James Jesus Angleton. I rapporti, seppur episodici, fra i parenti di Oswald e alcuni luogotenenti di boss mafiosi (talvolta conoscenti indiretti anche di Jack Ruby) inducevano inoltre la CIA a non fornire alla Commissione Warren piste d’indagine che potessero portarla a scoprire i rapporti CIA-Mafia per assassinare Castro. Come ho già detto (vedi qui pp. 149-150, 180-182), le assurde attività di Oswald lo hanno messo in contatto con apparati ed esponenti di organizzazioni sospettabili di poter coprire un ipotetico complotto contro Kennedy. Non si può escludere che settori o agenti deviati di queste organizzazioni, al corrente delle sue idee omicide, lo abbiano in qualche modo assecondato nella sua follia di voler compiere un gesto clamoroso, per rendere finalmente la sua vita degna di essere vissuta, per dare uno scopo e una dimensione alla sua esistenza squallida e disperata. Analogamente avverrà per l’attentatore di Papa Giovanni Paolo II, il turco Ali Agca, che dichiarerà nel 1997: “Ho avuto la sensazione che i servizi segreti bulgari e sovietici… sapessero con certezza che avrei ammazzato il Papa, perché lo avevo minacciato pubblicamente. Non mi hanno fermato e mi hanno lasciato partire. In un certo senso mi hanno dato il loro tacito assenso, anche se nessuno mi ha ordinato di fare niente”. La stessa strumentalizzazione di una mente malata può essere stata compiuta con JackRuby: nessuno degli atti e delle circostanze del suo gesto indicano altro che un momento di follia, tuttavia non estemporanea, ma progressiva.

      3) Perché Jack Ruby ha ucciso Oswald?
      Ruby comincia già la sera del 22 novembre a pensare che Oswald sia una nullità che ha screditato Dallas e gli Stati Uniti agli occhi del mondo. Sempre più sconvolto, ne parla con parenti e conoscenti e poi con un suo amico poliziotto, Harry Olsen, e con la ragazza di questi nonché ballerina del suo night-club, Kay Helene Coleman. Ricollega il gesto di Oswald ai messaggi antikennediani diffusi quella mattina in città dall’estrema destra. Pensa a un complotto nazista e razzista che, facendo assolvere Oswald, prima o poi colpirà tutti gli Ebrei e lo costringerà a lasciare il Texas. Passa molte ore di quel week-end nella Centrale di polizia per osservare il prigioniero. Qualcuno della polizia può averlo indotto a uccidere l’ex Marine? E come? Anche qui occorre rifarsi alla lucida immaginazione narrativa di Don De Lillo, che descrive benissimo l’ipotetica “operazione di convincimento” compiuta su Ruby da un detective: “E terribile quello che sta succedendo in questa città, Jack. Ogni ora giungono dall’estero nuove parole di dolore e di meraviglia per come tutto ciò sia potuto accadere. Gli Europei sostengono già che si tratti di un complotto… È un modo di pensare dannoso. Genera una pressione che è un male per la città, un male per tutti noi. Ho ragione? Grazie a Dio questo Oswald non è Ebreo, ma fa apparire malvagio l’intero Paese. Tutti questi discorsi sul complotto… Ti dirò cosa vuole la gente. Vuole che questo Oswald scompaia. È così che si pone fine alle chiacchiere. La gente non lo vuole più vedere, Jack. E una seccatura che bisogna affrontare. E un’onda. L’avverti per le strade. Trascina tutti con sé. Ne siamo coinvolti in un modo o nell’altro, che ci piaccia o no… …Guarda l’inserzione contro il Presidente listata di nero apparsa sul giornale. Firmata con un nome ebreo. La gente nota fatti del genere. Li registra. Gli Ebrei suscitano violenti sentimenti. Lascia che ti dica francamente una cosa. La gente dirà dell’uomo che ucciderà Oswald che è il più coraggioso di tutta l’America. Ed è solo una questione di tempo prima che qualcuno lo colpisca. Trasmettono continuamente notizie di minacce. La gente vuole che si faccia un vuoto nel posto in cui si trova lui adesso. Costruiranno un monumento a chiunque compia quest’azione. E la strada più facile che abbia mai visto per diventare un eroe… …In altre parole, questo Oswald è una seccatura. E a conoscenza di alcune cose dubbie. Conosce dei nomi e ci sta giocando nella sua mente. Si prende in considerazione il modo di sistemare le cose alla maniera del Vecchio West. Se un negro uccide un altro negro in uno scontro a fuoco, il caso non arriverà neanche in tribunale. E la stessa cosa se si uccide un individuo come Oswald. Riesci a immaginare una condanna grave per togliere di mezzo questo ragazzo? La gente vuole liberarsene. Ti accorgerai di una gioia totale. Per come stanno ora le cose, Jack, che valore hai tu per la città di Dallas? Per loro sei uno di Chicago, uno yankee. Sei un gestore del Nord. Peggio, un Ebreo. Sei un Ebreo nel cuore di un sistema non israelita. Chi prendiamo in giro, qui? Sei il proprietario di due locali di spogliarello. Culi e tette. Questo sei per Dallas. Jack, sono sicuro che tu senti per la strada le stesse cose che sto sentendo io da quasi due giorni. L’uomo che ucciderà quel bastardo comunista salverà Dallas dalla vergogna mondiale. E questo che dicono per le strade. Jack, sei stato uno sbandato per tutta la vita. Questa è la tua opportunità di afferrare qualcosa di concreto. Vuoi trascorrere gli
      ultimi giorni della tua esistenza vendendo pelapatate a Plano, nel Texas? Costruisci qualcosa, fatti un nome. Ti assicuro che assisterai a una rinascita. Pensa a tutta la gente che vorrà dire di essere stata al Carousel, il club di Jack Ruby, l’uomo che ha tolto di mezzo Oswald…”. Sono convinto che lo scrittore sia riuscito magistralmente a interpretare in questo brano il senso del monologo interiore di Ruby, durato quasi due giorni. Potrebbe forse avergli parlato in questi termini un emissario della CIA? Della Mafia? Della polizia? Chi poteva volere, fra queste organizzazioni, che Oswald non avesse un processo? Che non si indagasse sui suoi contatti a New Orleans, a Dallas, a Città del Messico, alle ambasciate cubana e sovietica? Anche in questo caso, non sapremo mai cosa veramente abbia scatenato la furia omicida di Jack. Possiamo solo ipotizzare che nessuno abbia potuto o voluto arginare la sua follia, il suo sconvolgimento, anche se tutto lascia pensare che l’omicidio di Oswald rientri nel grande gioco del Caso (vedi qui pp. 96-108, 130-131, 287-291). Il fatto che Oswald fosse trasferito, per un imprevisto, con oltre un’ora di ritardo rispetto all’orario prefissato delle dieci, mentre Ruby si attardava fino alle undici e diciassette a fare un vaglia in un ufficio postale, e il fatto che lo stesso Ruby lasciasse nell’auto parcheggiata la sua adorata cagnetta Sheba, che presentava a tutti come “mia moglie”, come se dovesse riprendere la vettura subito dopo aver effettuato il pagamento (vedi qui note 201 – 203), depongono a favore dell’estemporaneità del suo crimine o quanto meno di un’azione a lungo pensata che ora gli si presentava come ultima occasione
      per essere realizzata. Il classico “o la va o la spacca”, ora o mai più. E un fatto incontestabile che Oswald, fin dalle prime ore dopo l’attentato, fosse un bersaglio facile per qualunque squilibrato disposto a farsi catturare: e abbiamo anche visto come il caos nella Centrale fosse veramente assurdo e inconcepibile (vedi qui pp. 129-132, 137-145).

      4) Le mie ricerche.
      Chi si proponga di inoltrarsi negli abissi dell’assassinio di John Kennedy ha un destino comune a tutti coloro che lo hanno preceduto negli ultimi trentacinque anni: una valanga di documenti, migliaia di nomi, di rapporti, di relazioni. Dozzine di analisi balistiche, medico-legali, acustiche, fotografiche, cinematografiche, chimiche, spettrometriche, fotogrammetriche, cronometriche, telemetriche. Indagini su impronte digitali, “macchine della verità”, attivazione neutronica sui proiettili, apparati di sicurezza, rapporti investigativi. Centinaia di migliaia di pagine redatte dal Servizio Segreto, dalla CIA, dall’IRS, dall’ONI, dal Dipartimento di Stato, dal Corpo dei Marines, dall’FBI, dagli Stati del Texas, della Lousiana, della Florida; dalle Procure Distrettuali di New Orleans e di Dallas; dagli sceriffi e dalla polizia di Dallas, di New Orleans, di Chicago, di Fort Worth, di New York; dal DIA, dal KGB, dalle autorità messicane, cubane, sovietiche, giapponesi. “Rapporti Finali” e dozzine di volumi di documentazioni di circa una decina di commissioni d’inchiesta cittadine, di Contea, statali, federali, governative, congressuali e private a vari livelli e in vari periodi. Si potrebbe continuare a lungo. Non c’è scampo. Come scrive Guido Gerosa “lo studioso è letteralmente sommerso da un mare di carte, la maggior parte inutili, ed è condannato a leggerle tutte”. Ogni argomento è collegato ad altri e si dirama in più direzioni. Ogni direzione è una porta che si apre su altre dieci porte, ognuna
      delle quali contiene a sua volta molti percorsi diversi. Il labirinto si ramifica come una piramide da percorrere partendo dalla cima e proseguendo verso una base sempre più ampia della quale non si scorgono i confini. Tutto è collegabile, intrecciabile, sospettabile. Oswald è all’origine, al centro della ramificazione. Ad esempio: Oswald ha una madre che ha avuto per amante un sospetto mafioso e uno zio socio del luogotenente di un mafioso? Si inizia a percorrere la pista del crimine organizzato ed ecco che la traccia si ramifica: Ferrie, Banister, Carlos Marcello, Giancana, Trafficante, Ruby, Jimmy Hoffa, la CIA, l’assassinio di Castro, la ritorsione di Castro contro J.F.K., Johnny Roselli. E da Roselli si può passare al motel mafioso Cal-Neva Lodge, a Frank Sinatra, a Judith Campbell Exner, a Marilyn Monroe, a Peter Lawford, allo stesso Presidente controllato dalle intercettazioni dell’FBI di Hoover. E Hoover sa che Oswald è fuggito in Russia, sa che l’agente del KGB Nosenko ha trattato il fascicolo di Lee, sa che la CIA è informata di tutto questo e diffida di Nosenko e della CIA. La CIA a sua volta sospetta che il KGB abbia reclutato Oswald e infatti Oswald a New Orleans fa pubbliche dimostrazioni di filocastrismo, ma poi tenta di entrare nel gruppo anticastrista di Carlos Bringuier. Bringuier
      lo sorprende a distribuire volantini filocastristi nei pressi dell’International Trade Mart dove ha il suo ufficio Clay Shaw. Scoppia una rissa, Oswald va in prigione, viene liberato su cauzione pagata da Emile Bruneau, amico di suo zio e commerciante in odore di Mafia. Gli opuscoli filocastristi di Lee portano stampigliato l’indirizzo Camp Street 544, l’edificio occupato un anno prima dal gruppo anticastrista di Arcacha Smith, ex amico di Bringuier. Ma nello stesso stabile c’è l’ufficio di Guy Banister, feroce anticomunista appartenente all’estrema destra dei Minutemen e della John Birch Society, ex ufficiale dell’FBI nella Chicago di Jack Ruby e ora detective, con David Ferrie e Jack Martin, per conto del legale del mafioso Carlos Marcello. Ferrie è anche anticastrista e istruttore nei campi di esuli cubani finanziati dalla CIA, ma conosce pure Dean Andrews, l’avvocato di New Orleans – ex compagno di studi di Jim Garrison – al quale Oswald si è rivolto nell’estate del ’63 per riottenere la qualifica di “congedo onorevole” dai Marines. Jack Martin sostiene di aver visto nell’ufficio di Banister sia Oswald che Clay Shaw. Una ballerina del night di Ruby, Janet Jada Conforto, ha lavorato nei locali di
      New Orleans controllati da Marcello. L’ufficio dell’avvocato di Marcello frequentato da Ferrie si trova nello stesso palazzo e nello stesso corridoio in cui ha sede una società petrolifera alla quale fa capo Eugene Hale Brading, alias Jim Braden, fermato a Dallas il 22 novembre 1963 sul luogo dell’attentato a Kennedy, il giorno dopo un appuntamento col petroliere di Dallas Harold Lafayette Hunt. Di petrolio si occupano anche Becker e Roppolo, testimoni diretti delle minacce di Carlos Marcello contro i Kennedy, e di sondaggi petroliferi si occupa anche George De Mohrenschildt, amico di Oswald, amico della famiglia di Jacqueline Kennedy, in rapporti col petroliere di Dallas Murchison e in rapporti, come lo è Clay Shaw, anche con la Domestic Division della CIA. Ma anche il padre di Ruth Paine, la donna che ospita gli Oswald, è un funzionario della CIA e la CIA sta tentando di liberare l’isola di Cuba dalla dittatura di Castro. A Cuba fanno capo prima o poi tutti: Oswald ne visita l’ambasciata in Messico, Ruby ci va per conto dei mafiosi, De Mohrenschildt per conto della CIA, Ferrie vi invia clandestinamente casse di armi, il generale Walker ne contatta gli esuli a Dallas, e l’FBI di Hoover sorveglia tutti, compreso Bob Kennedy che avalla le operazioni segrete contro Castro. Avete tirato il fiato? Può bastarvi? Potrei continuare a concatenare ipotesi all’infinito e tutto avrebbe una parvenza di credibilità, perché “collegamento” è una parola magica per creare complotti. Come vedete, si è obbligati comunque a controllare, letteralmente, quintali di documenti. La stessa Jacqueline Kennedy brancolava nel buio delle ipotesi più fantasiose sul tragico destino di suo marito e confidò al giornalista Harry Kolber: “Sono convinta che i russi non c’entrino nulla… Quando il presidente decise di sferrare un attacco in Vietnam… si scatenò una serie di accuse misteriose e tutte con una minaccia precisa: Ti faremo la pelle! Dicono che i cubani fossero interessati alla morte del presidente… I cubani fuoriusciti della Florida, che una volta avevano invitato il presidente a un loro raduno, erano molto vicini a quegli industriali texani che avevano giurato di rendergli la vita difficile… Queste connessioni sono molto strane… Poi si scopre che Oswald era stato a Cuba, che era una specie di agente, ma si scopre anche che aveva ricevuto degli assegni dalla CIA, dal KGB… A un certo punto, nessuno l’ha mai detto, nella sala di rianimazione dove il presidente era stato accolto, saltò anche la corrente, fu un guasto di qualche decina di secondi, ma potrebbe essere stato anche fatale… È strano che sia successo proprio in quel momento. Ma come escludere che fosse una cosa del tutto casuale?… Dopo avermi sposata, Onassis non volle mai andare in Texas. Questa oggi può essere una circostanza curiosa… Mi disse: So che esistono segreti che forse non si possono rivelare, immagino che anche tu ne sia stata informata, potrebbe anche essere che qui nella tua testa sia nascosta la chiave dell’enigma di Dallas…” (Oggi, nn. 20-21, 21 mag. 1977, pp. 45-46). Elucubrazioni che sono proseguite per decenni. Come trovare il bandolo della matassa? Facendo quello che ha fatto l’HSCA e quello che hanno fatto ricercatori e giornalisti seri come Walter Cronkite, Dan Rather, Gerald Posner, Jim Moore, Norman Mailer. Tornando cioè alle prove concrete in Dealey Plaza e a quelle custodite negli Archivi Nazionali….

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      PP. 422-428: Intervista al Professore Vincenzo Mastronardi Maggio 1997 (Psichiatra-Criminologo, Titolare dì Psicopatologia Forense, Insegnamento di Medicina Legale, presso la Facoltà Medica dell’Università La Sapienza di Roma, Dipartimento di Scienze Psichiatriche e Medicina Psicologica è inoltre Titolare dell’insegnamento dì Criminologia presso la Scuola di specializzazione in diritto e procedura penale della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università La Sapienza di Roma e presso la Scuola di Formazione e Aggiornamento del Corpo della Polizia dì Stato e di quella del Personale penitenziario del Ministero di Grazia e Giustizia, Direttore del Corso di Perfezionamento in Fisiopatologia della Comunicazione Individuale e di Massa nonché Direttore del Corso di Ipnosi Clinica e Sperimentale della Facoltà dì Medicina presso la già citata Università. E inoltre docente presso il Centro Italiano di Ipnosi Clinica e Sperimentale, Presidente dell’Istituzione Internazionale di Studi Superiori e Ricerche sulla Comunicazione di Massa, è noto perito grafologo forense e Psicologo della Scrittura, autore dì duecento pubblicazioni e dodici volumi sulle sue specializzazioni professionali nonché membro delle Società Italiane di Psichiatria, di Psichiatria Forense, di Criminologia, di Psicoterapia Medica, della Società per la Formazione in Psichiatria e direttore responsabile della rivista “Rassegna di psicoterapie, ipnosi, psicopatologia forense” dell’Università La Sapienza di Roma).

      D. Professore, cosa deduce dai filmati dell’arresto di Oswald che ha visto?
      R. Le poche immagini che abbiamo a disposizione stanno a rappresentare il suo abituale modo di esprimersi, di porsi, di proporsi agli altri. La sua ipomimìa facciale, ossia la sua impassibilità, la sua calma esteriore, è l’opposto di ciò che possiamo vedere in chi è coinvolto emotivamente e quindi accentua la mimica stessa. La Psicobiografia di Lee Oswald che ho avuto modo di effettuare studiando il Rapporto Warren, la sua storia, il suo passato disastrato, sono la causa di questa ipomimìa facciale di difesa da più profondi disagi emozionali, da timori di inadeguatezza non confessati neanche a sé stesso. In Oswald, come in molti esseri umani, non c’è la razionalizzazione della propria storia psichica, dell’iter psichico della sua infanzia, dei suoi rapporti familiari disturbati e distorti dalla sua ottimale crescita emotivo-affettiva. Compare invece solo qua e là la presa di coscienza dì un lievitare di aggressività contro lo Stato, frutto in definitiva di un profondo disagio economico che ha condizionato sempre la sua famiglia.

      D. Come potrebbe definire Lee Oswald?
      R. Direi che possiamo inserirlo nella categoria degli psicopatici paranoici: è un frustrato, con compensatoria ipertrofia dell’Io, ossia un atteggiamento paranoicale di difesa che permetta a sé stesso una capacità di affermazione e di potenza per compensare un suo pauroso complesso di inferiorità. Sono atteggiamenti normali nella fase infantile di ognuno di noi, ma, moltiplicati per cento, ci mostrano in età adulta cosa accade in un paranoico. La differenza tra il normale e il patologico – tutti i testi sacri di psichiatria e di psicodinamica ce lo insegnano – non è un fatto di qualità di espressione della propria mente, ma di quantità. Queste energie, questi impulsi, questa aggressività vengono, nell’individuo normale, abitualmente canalizzati in modo abile e valido per fini nobili, verso alcune mete ascensionali, esperienziali ed interattive valide, dato che di solito dietro uno sviluppo psichico equilibrato c’è un’educazione familiare che trasmette correttamente la nozione del Bene e del Male, ossia la coscienza morale, i limiti del giusto e dell’ingiusto. In altre parole, ciò che in ognuno di noi forma il Super Io. Altri soggetti non hanno avuto figure familiari equilibrate, un padre o una figura maschile di riferimento o anche la sola presenza materna in grado di supplire in modo efficace all’assenza del genitore maschile. Dove la figura maschile è assente o carente, la madre – oltre al suo tradizionale ruolo accettante, oblativo, sempre pronto all’indulgenza e alle coccole – può infatti farsi carico di quel “maschile” indispensabile alla formazione di un preciso codice morale, di limiti, di freni, di confini esperienziali che possano orientare nel cammino dell’esistenza, di esempi di vita tipici della virilità paterna. Nel 1989 ho esposto i princìpi basilari di queste caratteristiche dei delinquenti nei capitoli “Le cause del disadattamento e della criminalità” e “La personalità del colpevole” del mio Manuale per operatori criminologici e psicopatologi forensisdho da Giuffrè e giunto ormai alla sua terza edizione nel 1996.

      D. La madre dì Oswald non ha supplito a questa carenza dì figura paterna?
      R. Evidentemente no. La nevrosi e le frustrazioni subite dalle vicissitudini economiche, con denaro sempre insufficiente, i vari licenziamenti provocati da Incomprensioni e litigi con i datori di lavoro (una costante, questa, anche della vita di Lee), le brusche rotture dei rapporti con gli uomini della sua vita, il suo stato di vedovanza vissuto come “abbandonico”, il continuo peregrinare da una città all’altra e da una casa all’altra, il fatto che non riuscisse ad armonizzare la vita dei tre figli avuti da uomini diversi, l’insicurezza continua, sono alla fine l’esempio di una pusillanime che si arrabatta, piuttosto che un modello valido per una maturazione equilibrata di suo figlio. A Lee viene trasmesso un messaggio ansiogeno e tensiogeno, l’impossibilità e l’incapacità di gestire il quotidiano: la conseguenza ultima, in una situazione così degradata e in una personalità come quella di Lee Oswald, non può che essere la sfiducia e la conseguente ribellione antisociale. Ricapitolando, i tre fattori sono: 1) infanzia priva di un modello naturale maschile da introiettare; 2) difficoltà economiche vissute emotivamente – anzi, direi emotigenamente, cioè che provocano emozioni, con la necessità di creare un distacco di salvaguardia psichica dalle emozioni stesse – con un atteggiamento freddo e con apparente anestesia affettiva, che si manifesta in definitiva con un 3) disadattamento socio-ambientale a sua volta condizionato dalle due prime cause, ma poi estrinsecantesi come vera e propria causa a sé stante e che tuttavia non si sarebbe forse verificata se vi fosse stata la presenza di una figura paterna.

      D. Come giudica i due fattori antitetici della vita dì Lee, ossìa l’arruolamento nei Marines, Corpo militarista e nazionalista, e, al contrario, le fede nel marxismo che lo porta a cercare asilo in Russia in piena “Guerra Fredda”?
      R. L’antitesi è solo apparente e i motivi ideologici delle due scelte sono irrilevanti. In realtà Oswald fugge dall’impossibilità di avere da sua madre ciò di cui ha bisogno: regole, stabilità, princìpi. In altre parole, la parte maschile di riferimento che non ha avuto. Come i suoi due fratellastri prima di lui, sceglie la divisa, la disciplina, lo spirito di Corpo, la necessità di introiettare dei limiti. E anche la possibilità di non pesare sul magro bilancio materno. Ma, soprattutto, il tentativo di relazionare, di rapportarsi agli altri, ai commilitoni, di andare a cercarsi amicizie con cui andare a strutturare un contatto valido. Tuttavia, l’automatismo rigido e cieco delle punizioni militari ai suoi atteggiamenti violenti non sono la risposta che Lee cerca. Non sono il padre che, bastone e carota in mano, gli insegni a contenere la sua aggressività, a canalizzare i suoi istinti; redarguendolo, certo, ma dandogli nel contempo credito nelle sue potenzialità, trasmettendogli fiducia, incoraggiamento. Nessun suo superiore si rende conto dei suoi messaggi metacomunicazionali, della psicodinamica che c’è in lui, del bisogno di essere ascoltato. Cerca l’attenzione e la considerazione di chi lo circonda con atti violenti contro gli altri (le risse) o contro sé stesso (si ferisce sparandosi un colpo di pistola) e s’indottrina leggendo testi marxisti per far colpo sugli ufficiali. Ma è tutto inutile: la delusione e l’amarezza verso quel Corpo, che d’istinto si era scelto come qualcosa che andasse a vicariare
      appieno la figura maschile valida, “ferma” ma buona , ma che scopre in definitiva ben presto soltanto punitiva e castrante, lo spingono a cercare altrove il “paterno” che gli manca.

      D. Ossia in Russia…
      R. Esatto. In Russia tenta disperatamente un’ultima ricerca di questo “maschile”. Fugge dalla “madre” America che lo ha deluso, dalla società americana col suo lassismo, da lui vissuta come caratterizzata da cupidigia che annienta i perdenti, ma premia i ricchi e i furbi. Negli Stati Uniti non vi è armonia che si possa instaurare, c’è qualcosa che manca: come lui e sua madre, molti esclusi dal sogno americano si ribellano pensando che non sono essi a dover cambiare (perché ce la stanno mettendo tutta) ma è la società, il sistema corrotto che non funziona: è una delle sindromi tipiche dei reduci dal Vietnam. Ricorda il film Nato il 4 luglio? Una tipologia delle sindromi di risposta allo stress nei veterani del Vietnam è la seguente: 1) Sindrome depressiva e suicidaria; 2) Sindrome dell’isolamento, vivendo da solo e nei boschi;
      3) Sindrome della ricerca di sensazioni, con l’utilizzo di droghe e ricerca di una vita spericolata {Taking Risk); 4) Sindrome di stato paranoicale; 5) Sindrome del profondo intorpidimento psichico; 6) Sindrome dell’alienazione e del cinismo; 7) Sindrome umanitaria – psicosociale ecc. Forse l’Unione Sovietica, con i suoi principi egualitari, secondo Oswald, può essere la risposta, il supporto valido, il qualcosa e [‘”altrove sociale” rispetto a ciò che abitualmente ruota intorno a lui. E in Russia, inizialmente, Lee si placa, scopre per la prima volta l’affetto. Il suo narcisismo è così premiato. Vuole perciò rimanere lì ad ogni costo e, alla notizia che le autorità di Mosca non gli concedono il permesso di soggiorno, tenta il suicidio tagliandosi le vene. Meglio la morte fisica, reale e irreversibile, in Russia che l’imminente e più che certo “pericolo di vita emozionale” tornando in America. In conseguenza del suo gesto, gli rinnovano il visto temporaneo. Inizia quindi a lavorare in un clima ordinato, in cui tutto è pilotato e regolato dall’alto, dal partito-padre che premia e punisce: proprio il riferimento maschile che egli non coglieva negli Stati Uniti e di cui aveva necessità. Nonostante anche in Russia si evidenzi ben presto la sua ipotrofia dell’Io grazie al suo documentato, maldestro comportamento in pubblico, con conseguenziali risposte frustranti degli altri, che lui registra come promuoventi una certa distonia tra le sue normali potenzialità intellettive e quelle che gli concedevano invece di esprimere (il nostro inconscio emotivo sa esattamente se siamo o no in grado di farcela, anche se la nostra razionalità si difende non facendoci prendere coscienza delle nostre inadeguatezze), Lee per la prima volta introietta il modello maschile e riesce a canalizzare la sua affettività verso un rapporto più adulto con gli amici e con le ragazze, comincia a sentirsi istintualmente degno di iniziare a candidarsi come partner di una donna, come marito, come padre: ha infatti una bambina da sua moglie Marina. Ma anche in Russia, però, ben presto, si scontrerà con i “controlli rigidi”, la “mancanza di libertà” e le frustrazioni,
      registrando in definitiva un’ennesima delusione con conseguente ritorno in America.

      D. Qual è, in questa fase, il suo atteggiamento?
      R. Essendo uno psicopatico paranoico con assalti plurimi di paranoia che spesso e volentieri vanno a condizionarlo, torna in America in cerca di approvazione per il suo gesto: intende dimostrare in primo luogo a sé stesso di essere una persona valida, che riesce a fare cose valide, fuori dalla portata della gente comune: più piccoli si è, più si ha bisogno di atteggiarsi ad elefanti, specie se più profondamente si è soltanto mosche. Lee vuole essere acclamato, essere al centro dell’attenzione. Immagina un rientro trionfale e grande è la sua delusione quando, esprimendo appieno i suoi nuclei paranoici, chiede al fratello Robert, che è andato a riceverlo in aeroporto, perché non vi siano giornalisti ad attenderlo. Dopo un breve soggiorno, litiga con la madre e con il fratello e scarica sulla moglie russa, Marina, le sue frustrazioni. Già in questa fase è presente la psicodinamica (a livello emozionale, non razionale) che lo porterà, alla fine, all’acting out, al delitto: vede come un affronto al suo narcisismo (quasi un riconoscimento altrui della sua incapacità di mantenere decorosamente la famiglia) i regali che la comunità di immigrati russi di Fort Worth fa a sua moglie e alla sua bambina; si erge a paladino e giustiziere tentando invano di uccidere il generale Walker; viene licenziato da vari datori di lavoro e cambia spesso casa, entrando in aperto conflitto con sua moglie, che si vendica iniziando a umiliarlo davanti agli amici; si trasferisce a New Orleans; si reca alle ambasciate sovietica e cubana di Città del Messico e cerca invano di ottenere un visto per L’Avana, ennesimo “altrove ideale” dove tentare una nuova vita. La sua razionalità non registra questi fallimenti, ma il suo inconscio sì. Il suo inventarsi una sezione politica filocastrista a New Orleans e il fabbricarsi dei documenti con false identità fa parte di un meccanismo di menzogna tipico del bambino privo di padre che dice le bugie e che “inventa” senza limiti pur di raggiungere a tutti i costi il suo scopo. Questa sua tendenza alla menzogna (che ritroveremo negli interrogatori dopo l’arresto) è il classico cliché di tutti coloro che non hanno avuto un modello maschile di comportamento che ponga dei “paletti”, dei confini comportamentali entro cui muoversi e al
      di là dei quali evitare di andare. È il Super Io che tutti noi introiettiamo fin dalla più tenera età se i nostri modelli paterni si sono rivelati validi. Viceversa, è come se tutto fosse concesso. Abbiamo a che fare con uno psicopatico paranoico che, per combinazione – perché non era ancora “di moda”, non era l’epoca, diciamo – non è arrivato ad essere un serial killer. Ma c’era in lui questa necessità di provare a sé stesso di essere comunque una persona valida.

      D. Ritiene che Oswald sia stato capace di organizzare da solo e razionalmente l’attentato a Kennedy?
      R. Era in grado molto più di altri, che possono essere preda dell’emozionalità. La sua freddezza era un’anestesia emotiva che possiamo cogliere dalla sua mimica, dalla sua ipomimìa. E la classica estrinsecazione della possibilità di riuscire a gestire attimo dopo attimo il singolo gesto in funzione di quel dato atto che sta per compiere o che deve assolutamente compiere.

      D. Quindi, nell’atto di mirare e sparare, nel voler colpire il bersaglio, aveva un buon autocontrollo muscolare ed emotivo?
      R. Enorme, assoluto. Non vi era assunzione di psicofarmaci, il cui eccesso può provocare tremolìo delle mani, attenzione e riflessi rallentati. Rispetto alla norma lui (come tutti coloro che appartengono a questa tipologia di personalità) era ancora più freddo, lucido e deliberato, scevro da qualunque emozionalità in relazione alla commissione di tali atti deliberati, in perfetto connubio e sintonia con la sua struttura di personalità.

      D. Come spiega che Oswaid lasciasse dietro di sé tracce evidenti dei suoi crimini, come il fucile e i bossoli sparati per uccidere Kennedy e Tippit?
      R. Questo non è stato ancora capito da molti, ma posso spiegarlo in breve. Non vi era, per Oswaid, la necessità di non lasciare tracce. È più o meno analogo a ciò che avviene in un serial killer, che ha piacere di dimostrare a sé stesso e agli altri di essere finalmente, sia pure nella sua “connotazione negativa”, valido. Ma in questo caso possiamo dire che non vi è alcun atteggiamento di sfida alla stampa oppure alla polizia come per i serial killers. C’è invece un’anteposizione della sua “volontà di affermazione e di potenza”. È come se metacomunicativamente dicesse: “Non m’importa nulla del resto. Ciò che a me sta a cuore è il fatto che riesca a dimostrare a me stesso che ho deciso finalmente di fare con quest’azione qualcosa di eclatante, qualcosa che mi permetta di emergere dal mio abituale grigiore, che riesca a connotarmi in qualche modo, qualunque esso sia, in questo mondo in cui non ho dimostrato altro che un fare maldestro e una serie di fallimenti”.

      D. Anche pensando di essere subito catturato? O forse volendo la cattura?
      R. Diciamo meglio: occultando a sé stesso il fatto di poter essere o no catturato. L’essere o no catturato non è un argomento per lui determinante. Vi è qui l’anteposizione di accontentare la necessità di gratificare il proprio narcisismo in una persona come Oswaid, pusillanime, frustrato per tutta la vita da continui insuccessi esistenziali, non ultimo quello del fallito attentato al generale Walker. A Oswaid non interessa assolutamente cosa sarà di lui dopo il delitto. Ciò che gli interessa è riuscire a mettere in atto e a realizzare il suo progetto di affermazione personale, sia pure distorta nella sua estrinsecazione (si confrontino, al proposito, le teorie di Mailloux, 1962-1965, dell’identità negativa: l'”ultimo della classe”, la “pecora nera della famiglia”, il “ribelle”, come fonte di connotazioni e, in ultima analisi, come unica
      alternativa dì affermazione, sia pure mediante un’identità negativa).

      D. Oswald ha negato qualunque circostanza potesse incriminarlo, perfino quelle accertate ed evidenti.
      R. Naturalmente! Il bambino bugiardo che è in lui è venuto fuori, negando l’evidenza: Hai fatto tu la pipì a letto? – No! Io no, è stata la nonna! Avrebbe negato qualunque cosa fino alla morte, perfino nelle mani del boia se fosse stato condannato.

      D. Suo fratello Robert andò a trovarlo in carcere e lo trovò stranamente freddo, meccanico. Come lo spiega?
      R. Spesso riscontriamo, in costanza di carcerazione, detenuti che esprimono la loro difesa dal mondo circostante, vissuto come minaccioso della propria integrità psicofisica, con un autocontrollo rigido e un’anestesia affettiva e comportamentale che traspare peraltro dalla loro ipomimia.

      D. Qualcuno ha ipotizzato che Oswaid sìa stato sottoposto a ipnosi o a droghe che ne abbiano modificato la personalità per guidarlo come un automa a compiere il delitto.
      R. Il suo aspetto, le sue azioni e il suo atteggiamento sarebbero stati in questo caso molto diversi. Il fenomeno della deprogrammazione e della riprogrammazione mentale con ipnosi, elettroshock e neurolettici (o con LSD, secondo i romanzi o i film fantascientifici) è qualcosa che è stato studiato realmente e può avvenire, ma impedisce al soggetto di continuare a condurre una vita familiare e affettiva senza che chi gli sta a fianco non si renda conto che c’è qualcosa di molto forte che non va in lui, che non è più lui e che il suo comportamento quotidiano e le sue azioni sono più prossime al comportamento di un automa che a quello di un essere umano in grado di esprimere i sentimenti e le emozioni di sempre. Ciò non è avvenuto nel caso di Oswaid. Vi sono varie attestazioni storiche al proposito: per esempio, quando la moglie Io va a trovare in prigione, la rassicura molto empaticamente e le raccomanda molto affettuosamente di comprare le scarpe alla bambina. La domanda è comunque pertinente in quanto è in realtà esistito un Programma di Controllo Psicologico del Comportamento (MK Ultra Program) della CIA sperimentato dallo psicoanalista canadese Ewen Cameron, che secondo alcuni Autori utilizzava LSD, elettroshock e ipnosi su ignari malati mentali. Il programma fu abolito nel 1964, subito dopo l’assassinio di Kennedy (si veda Panorama n. 490, 11 settembre 1975, pp. 44-45 e n. 39, 2 ottobre 1997, p. 25). Per tale tipo di profondo condizionamento ipnotico, è necessaria una prolungata fase allenativo-ipnotica pressoché giornaliera per un periodo sufficientemente lungo. Da tutta la biografia di Oswaid in Russia (ma anche in America o in Estremo Oriente, durante il servizio nei Marines) non compaiono organizzazioni di vita giornaliera e dei suoi orari che contemperassero tali ripetuti, quotidiani appuntamenti per eventuali condizionamenti ipnotici. Peraltro avrebbe dovuto avere necessità di cure psichiatriche in Russia per incontrarsi con un ipnotista-psichiatra e dalla sua biografia del periodo trascorso a Mosca e a Minsk tutto ciò non risulta. In riferimento all’ipotesi ventilata dal dottor Martin Schorr, che cioè Oswaid sia stato condizionato in un ospedale di Minsk nel 1959, durante un ricovero di undici giorni, ufficialmente per un’operazione di adenoidi, le ricerche relative al “Lavaggio del cervello” (Brain Washing; cfr. V. Mastronardi, Le strategie della comunicazione umana, Franco Angeli, 1998) e quelle sui “delitti per comando postipnotico”, ci dicono che è possibile suscitare azioni sociolesive e anche il suicidio, però:

      1) “un ipnotizzato non uccide, contro i suoi principi morali e i propri interessi, se gli si comanda solo di uccidere, ma uccide se gli si dice di affondare la lama di un coltello in una persona che, per effetto di allucinazione ipnotica, ritiene essere un sacco da sfondare”;
      2) Il delitto può essere commesso quando la suggestione ipnotica trova un “terreno predisposto, in pazienti con tendenze criminali in cui la suggestione ipnotica facilita l’esecuzione del delitto che essi spontaneamente avrebbero potuto commettere anche in stato di veglia”;
      3) L’allenamento all’ipnosi deve essere reiterato ininterrottamente e in modo ritmico-continuativo per svariati mesi e anni. Pertanto, pur ipotizzando un inizio di condizionamento ipnotico in occasione degli undici giorni di ospedalizzazione in Russia, tutto il lunghissimo periodo successivo al succitato ricovero di Oswaid, ivi incluso il peregrinare isolato da una parte all’altra dell’America con un continuativo lievitare di un disagio intrapsichico ed interpersonale esteso ai suoi rapporti familiari più intimi, è la prova che l’omicidio di Kennedy è soltanto l’attuazione di un crimine commesso da una mente sempre più ammalata, con sviluppo del cosiddetto “narcisismo maligno” di Kernberg, strutturandosi quello che al giorno d’oggi viene definito per i serial killer “disturbo di personalità” con necessità di “controllo del potere” e bisogno assoluto di dimostrare essenzialmente a se stesso di riuscire almeno per una volta a riscattare tanta sua pusillanimità, riuscendo a fare qualcosa di unico e di grande. In sintesi, se vi fosse stato un condizionamento ipnotico, lo stesso omicidio Kennedy sarebbe avvenuto molto prima, immediatamente dopo il rientro di Oswald in America.

      D. E per lei concepibile che, nella confusione che regnava nella stazione di polizia, facesse il suo ingresso un mitomane come Jack Ruby, deciso a uccidere Oswald?
      R. Sì, è concepibile. Molti hanno ipotizzato che fosse un sicario inviato da chissà chi, con chissà quali retroscena. Ma l’attento studio del Rapporto Warren, anche in relazione allo spaccato anatomico dei disturbi di personalità e quindi comportamentali di Ruby, depone a favore della tesi relativa all’incontro di due psicopatici, Oswald e Ruby. Dietro le loro azioni non c’è altro. Escludo qualunque complotto di qualunque genere.

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  • 30 Aprile 2016 in 16:05
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    Per il Sig. Renzo: 12:15 Arnold Rowland testimoniò alla Commissione Warren: “Ho notato al sesto piano del palazzo che vi era un uomo nero anziano, dietro alla finestra, che si sporgeva fuori dalla finestra con un fucile”. Al 6º piano c’era Bonnie Ray Williams che consumava la colazione, alle finestre del 5º piano c’erano altri due neri, Harold Norman e James Jarman, affacciati a guardare l’arrivo del corteo. Rowland, che era lì con sua moglie Barbara, non parlò né a lei né quel giorno stesso agli agenti dello sceriffo e della polizia di aver visto un secondo uomo al sesto piano

    On November 22, 1963, Arnold Louis Rowland dictated and signed a statement in which he described in detail seeing one man with a rifle on the sixth floor of the Texas School Book Depository; he spoke to several law enforcement officers that day and told them the same thing. It was only months later, when he was deposed for the Warren Commission, that he added a second man to his story. In JFK’s documented screenplay, Oliver Stone claims that “Barbara Rowland corroborated her husband’s story.” This is completely false, however. When Barbara Rowland was asked by Commission counsel David Belin whether her husband had mentioned anything about a second man on the sixth floor, she replied, “I don’t believe he said whether or not he saw any other people on the sixth floor.”Oliver Stone fares even worse with Norman Similas, a Canadian fraud who claimed to have photographed two men in the “sniper’s nest” window, and whose story was quickly shown to be a hoax. Ruby Henderson reported seeing “two men on one of the upper floors of the building,” shortly before the motorcade arrived. She did not see a gun, however, nor did she see anything that would indicate that either man had anything to do with the assassination. Judging from her description of both men as having been dark-complexioned, possibly Mexican or black, it seems likely that the two men she saw were Harold Norman and Bonnie Ray Williams, who were viewing the motorcade from the easternmost window on the fifth floor of the Book Depository, directly below the “sniper’s nest” window. Johnny Powell claimed to have witnessed the assassination from a jail cell window overlooking Dealey Plaza. Like Ruby Henderson, he said that the men were dark-skinned. Unlike Ruby Henderson, Powell claimed he had seen one of the men holding a rifle. Unfortunately, Powell waited fifteen years to tell his story. Assuming that he indeed witnessed the assassination, as he claims, the most likely explanation is that he is conflating a gunman on the sixth floor with the two black men he may have seen in the window below, on the fifth floor. His claim that numerous other prisoners witnessed the same thing he did rings particularly false, given that none of these alleged witnesses has come forward, even belatedly. In Carolyn Walther, however, Oliver Stone does finally have a witness who came forward shortly after the assassination and said she saw a man holding a rifle in one of the Texas School Book Depository windows, and she also caught a glimpse of another man standing beside him. So why didn’t Oliver Stone use her in his movie, instead of relegating her to a footnote? One can only guess. Perhaps because Carolyn Walther repeatedly insisted the men with the rifle were on a lower floor of the building, possibly the third or fourth; she was “positive this window was not as high as the sixth floor.” Or perhaps because Walther had viewed the motorcade with a co-worker, Pearl Springer, and Mrs. Springer “said that she had noticed no one standing in the windows of the upper floors of the Texas School Book Depository building, and Mrs. Walter [sic] did not mention to her anything about seeing a man standing in a window of that building holding a rifle”.
    What Oliver Stone does not say in his movie, of course, is that numerous eyewitnesses who did come forward to law enforcement officials following the assassination reported seeing one, and only one, man in the sixth floor “sniper’s nest” window. Amos Lee Euins, for example, pointed out the window to police immediately after the assassination, and described seeing a man fire a rifle there. Howard Leslie Brennan saw a gunman fire from that window, and positively identified Lee Harvey Oswald as the gunman. Robert Fischer and Robert Edwin Edwards, watching the motorcade together, both noticed someone fitting Oswald’s description standing in the window shortly before the motorcade turned onto Houston Street from Main. (da: http://www.jfk-online.com)
    Readers can decide for themselves which witnesses are more credible. Of course, even if there were two men in the “sniper’s nest” window, why would anyone assume that one of them could not have been Lee Harvey Oswald, the individual whose rifle was found nearby — a rifle linked ballistically to the bullet and bullet fragments recovered from the motorcade?

    Oliver Stone never allows for such a possibility. Perhaps a conspiracy of two just wouldn’t be cinematic enough.

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    • 5 Gennaio 2019 in 20:32
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      Sig Verdegilio

      Mi spiace Contraddirla ma la testimonianza della moglie al Sig. Mr Bellin dice esattamente che il marito le riferì di un uomo bianco alla finestra lato ovest del sesto piano. legga qui sotto

      Grazie

      Mr. BELIN. Would it be the farthermost west window?
      Mrs. ROWLAND. Yes; the farthermost west pair of windows.
      Mr. BELIN. The farthermost west pair of windows. What did your husband say to you?
      Mrs. ROWLAND. Well, we assumed that it was a Secret Service man.
      Mr. BELIN. But what did he say, if you remember?
      Mrs. ROWLAND. He told me that he saw a man there who looked like he was holding a rifle, and that it must be a security man guarding the motorcade.
      Mr. BELIN. Is there anything else that you can remember that he told you?
      Mrs. ROWLAND. No.
      Mr. BELIN. What did you do when he told you that?
      Mrs. ROWLAND. Nothing. I just generally agreed with him.
      Mr. BELIN. What do you mean “generally agree”? Did you see the man?
      Mrs. ROWLAND. No; I didn’t see the man but I said I guess that was what it was.
      Mr. BELIN. You mean you agreed that he must have been a security officer?
      Mrs. ROWLAND. Yes.
      181

      Mr. BELIN. I notice you are not wearing glasses now. Do you wear glasses?
      Mrs. ROWLAND. Yes; sometimes.
      Mr. BELIN. Are you near-sighted or far-sighted?
      Mrs. ROWLAND. Near-sighted.
      Mr. BELIN. Did you have any trouble looking at this window?
      Mrs. ROWLAND. No; I saw the window plainly, and I saw some people hanging, looking out of some other windows, but he said that the man was standing in the background.
      Mr. BELIN. Did he say about how far back?
      Mrs. ROWLAND. I think he said about 12 feet, I don’t know exactly.
      Mr. BELIN. Did he say how much of the man he could see?
      Mrs. ROWLAND. Apparently he could see at least from the waist up, because he said that the man was wearing a light shirt, and that he was holding the rifle at a port arms position.
      Mr. BELIN. Did he say whether the man was white or colored?
      Mrs. ROWLAND. He said he thought he was white.
      Mr. BELIN. Did he say whether the man was an old man or a young man?
      Mrs. ROWLAND. He said a young man.

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      • 13 Gennaio 2019 in 17:44
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        La Signora Rowland dice solo che He said he thought he was white il marito PENSAVA che l’uomo alla finestra fosse un bianco. Nella sua testimonianza Arnold Rowland PENSAVA (I THINK) che l’uomo all’altra finestra del sesto piano fosse “colored” e che lo vide prima di quello armato di fucile

        Mr. ROWLAND – At the time I saw the man in the other window, I saw this man hanging out the window first. It was a colored man, I think

        Representative FORD – Is this the same window where you saw the man standing with the rifle? 

        Mr. ROWLAND – No; this was the one on the east end of the building, the one that they said the shots were fired from. 

        Representative FORD – I am not clear on this now. The window that you saw the man that you describe was on what end of the building? 

        Mr. ROWLAND – The west, southwest corner. 

        Representative FORD – And the man you saw hanging out from the window was at what corner? 

        Mr. ROWLAND – The east, southeast corner. 

        Representative FORD – Southeast corner. On the same floor? 

        Mr. ROWLAND – On the same floor. 

        Representative FORD – When did you notice him? 

        Mr. ROWLAND – This was before I noticed the other man with the rifle. 

        Rowland nota due uomini circa 15 minuti prima dell’arrivo del corteo, ma vede prima il negro e solo dopo nota l’uomo col fucile. Quando riguarda le finestre, uno o due minuti prima del corteo, l’uomo negro affacciato (hanging) alla finestra d’angolo opposta a quella dell’uomo col fucile non c’è più, e c’è solo l’uomo (“Light Latin or Caucasian”) col fucile. C’è uno scarto di alcuni minuti nel racconto di Rowland dal momento in cui l’operaio negro Bonnie Ray Williams dopo aver mangiato il suo panino e bevuto la sua bibita (entro le 12,15) lasciò il sesto piano e il momento in cui, montato il suo fucile, Oswald si posizionò (12,25) alla finestra. Tenga presente che non ci furono estranei nel deposito e che nessun operaio del deposito fu sospettato di aver aiutato Oswald, anche perché fu ricostruita la posizione di ogni operaio al momento dell’attentato. Inoltre “a caldo” Rowland non parlò mai del secondo uomo negro visto all’altra finestra del sesto piano. Ecco quanto è scritto nel Vol. XII HSCA (Marzo 1979) al punto 21) : (21) There is no mention in any of the FBI Reports (Interview of Arnold Rowland by Wallace Heitman, FBI Report, Nov. 23, 1963) that Rowland said he also saw another man in a window on the eastern corner of the building. Nevertheless, in his Warren Commission testimony, Deputy Sheriff Roger Craig stated that soon after the assassination on the afternoon of November 22, 1963, Rowland gave him a description of two men in sixth floor windows of the depository before the assassination”. Attendo Sue osservazioni.

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        • 18 Gennaio 2019 in 21:19
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          Scusi ma quello che ha scritto e riporto sotto non mi torna, perchè quello che in effetti Rowland non vede più è l’uomo col fucile non l’naziano nero che si sporge dalla finestra. Lui vorrebbe mostrare alla moglie l’uomo col fucile alla finestra ovest ,e guarda ripetutamente la finestra ma vede ancora l’anziano nero alla finestra opposta dell’uomo col fucile che si sporge dalla finestra il quale rimane li almeno fino a 6′ prima che il corteo passi davanti a Rowland.

          “Quando riguarda le finestre, uno o due minuti prima del corteo, l’uomo negro affacciato (hanging) alla finestra d’angolo opposta a quella dell’uomo col fucile non c’è più, e c’è solo l’uomo (“Light Latin or Caucasian”) col fucile”

          Rispondi
          • 29 Gennaio 2019 in 18:54
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            Come Le ho scritto,   a mio avviso c’è una discrepanza dei tempi nella testimonianza di Rowland. Questo lo si può arguire da un procedimento “per esclusione”: 1)   Al momento dell’attentato o subito prima è certo che non ci fossero estranei nell’edificio. Le indagini e le testimonianze del direttore e dei dipendenti sono concordi su questo; 2) Le due persone viste alle due finestre del sesto piano non potevano quindi essere che due dipendenti del magazzino; 3) Tutti i dipendenti del deposito hanno testimoniato dove si trovavano e con chi erano tra le 12 e le 12.30; 4) Due dipendenti in pausa pranzo ritornarono al sesto piano: uno, Charles Givens, risalì perché aveva dimenticato le sigarette nella sua giacca e vide Oswald; l’altro, Bonnie Ray Williams, si trattenne al sesto piano fino alle 12.12 o massimo 12.15 a consumare un panino con pollo fritto e una bottiglia di bibita gasata Dr.  Pepper, abbandonandola lì insieme agli ossi di pollo del panino stesso quando decise di raggiungere i suoi colleghi al quinto piano. Non vide né Oswald né nessun altro al sesto piano, e questo fu il motivo per cui decise di unirsi ai colleghi al piano inferiore per guardare con loro la parata presidenziale. Di un solo dipendente nessuno è riuscito a stabilire dove fosse tra le 12.15 e le 12.30: Lee Harvey Oswald. Se mi fornisce una Sua email alla mia dv52@libero.it  Le invierò tutte le inesattezze e le falsità riscontrate nelle varie testimonianze di Rowland, che la moglie classificò come un uomo “propenso ad esagerare”. Rowland nelle sue prime dichiarazioni alla Polizia e all’FBI non accennò mai al negro visto alla finestra, ma solo al bianco armato di fucile. Ci sarebbe quindi molto da dire sulle sue dichiarazioni.

  • 20 Aprile 2016 in 16:47
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    Buongiorno a tutti….volevo fare i complimenti per il sito in quanto è pieno di contenuti e sopratutto per il modo in cui sono trattati.

    Ho letto alcuni commenti che avvallano la teoria dell’assassino solitario. Sicuramente è difficile e forse non arriveremo mai alla conclusione esatta di quello che accadde quel 22/11/1963 ma mi chiedo una cosa!!Se cosi fosse che Oswald abbia agito da solo o con dei complici presumibilmente della mafia: come avrebbero fatto questi a modificare il percorso ma sopratutto come avrebbero fatto tali persone a far si che le procedure di protezione del presidente degli stati uniti fossero violate. Ricordiamoci cosa accadde un mese prima a Dallas. Ho avuto la fortuna di visitare 2 giorni Dallas sopratutto la Dealey Plaza ed è incredibile la sensazione che da quel posto, a parte che è rimasto tutto come all’epoca e poi ti rendi conto che non può un uomo solo aver fatto tutto quello. Dalla staccionata al punto del terzo colpo ci saranno in linea d’aria circa 30/40 metri il che fa facilissimo centrare il bersaglio. Quel giorno vi era anche un esperto che ci ha mostrato diverse teorie. Mi spiace non potervi allegare le foto. Dispongo anche di un cd molto ben fatto. Penso che Oliver stone non sia andato molto lontano dalla verità, anzi, penso che abbia dato una versione molto vicina alla realtà. Ci sono molte domande senza risposta: le dichiarazioni dei testimoni modificate, le morti sospette di altri testimoni, ecc.. I vertici alti del governo sapevano e hanno organizzato tutto, non posso pensare che anche in caso di complotto avessero affidato ad Oswald quel compito ( immaginate l’agitazione, l’ansia di quel momento). Solo 2/3 tiratori avrebbero potuto fare quello. grazie a tutti e buona giornata

    Rispondi
    • 21 Aprile 2016 in 9:14
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      Andrea,
      grazie a lei. al di là dei saluti, però, lei ha “sparato” una serie di luoghi comuni complottisti che sono stati ampiamente sbugiardati da anni, talora da decenni.
      sono sinceramente ammirato dalle sue doti: se le basta guardare una piazza per risolvere casi di omicidio, lei dovrebbe essere assunto seduta stante dall’Interpol.

      se e quando vorrà prendersi la briga di leggere il contenuto di questo sito, e se avrà la pazienza di scrivere nuovamente indicando in quali punti lei ha argomenti contrari a ciò che ha letto, sarò lieto di rispondere. le do una indicazione: giacché lei sembra ancora molto indietro nel cammino del complottista-tipo, perché usa argomenti già superati negli anni Ottanta, magari parta da qui: Le domande più frequenti (FAQ). scoprirà che non ci fu nessuno sparatore dalla collinetta, che Oliver Stone ha raccontato una marea di stupidaggini buone solo per i disinformati e i boccaloni (legga anche qui).

      saluti
      FF

      Rispondi
      • 21 Aprile 2016 in 14:12
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        Buongiorno Francesco, la ringrazio per la repentina risposta. Come da lei consigliato prima di effettuare altre domande mi leggerò per bene tutti i documenti presenti nel suo sito, chissà che magari riesco ad avere le risposte alle mie mille domande. Mi riservo di ricontattarla in futuro avessi dei dubbi. Le consiglio di vedere, salvo che non l’abbia già visto, un documentario che è uscito su Sky visto da me solo ieri, che parla del l’analisi del filmato di Zapruder. Si chiama JFK CAPITOLO FINALE, sarei veramente curioso di sapere le sue impressione sul contenuto. Grazie ancora e le auguro una buona giornata. Ci risentiamo presto Andrea

        Rispondi
  • 21 Febbraio 2016 in 11:49
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    Perché Bobby è stato ucciso? Non venite a raccontarmi del solito pazzo, il colpo fatale fu dietro all’orecchio di Bobby. Sarebbe diventato sicuramente Presidente con tutte le conseguenze. Non potevano permettere una cosa del genere. Questa è la chiave.

    Rispondi
  • 3 Settembre 2015 in 15:51
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    Sto leggendo le testimonianze alla commissione Warren , quello che mi fa specie è che qui si è praticamente certi della tesi anticomplottista e si dichiara che molti sono complottisti hanno dei dubbi sul rapporto perche non l’hanno mai letto, ma il mio punto di vista è che leggendolo i dubbi comunque rimangano ed è un azzardo dire che oswald sicuramente agì da solo , io leggendolo mi sto accorgendo che ci sono testimonianze che inducono dei dubbi mentre in questo sito si hanno solo certezze. come ad esempio la coppia di giovani che stava di fronte al texas book depository che vede un uomo col fucile al sesto piano alla finestra opposta da cui aveva sparato oswald e poi un nero di una certa eta alla finestra da cui ha sparato oswald un 15 minuti prima dell’arrivo del corteo . Almeno non dite che è così tutto chiaro perchè onestamente non lo è.

    Rispondi
  • 19 Luglio 2015 in 13:28
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    Un tubo.
    Prima di ogni cosa: complimenti per il sito. Partito anch’io dal film di Oliver Stone, il suo sito è stata un’efficace cura disintossicante. Però siamo tutti piccoli Sherlock Holmes, e io pure. Dunque la domanda. A lei – a chi legge – una domanda. Oswald arriva al lavoro, la mattina di quel 23 novembre. Testimoni dicono porti un tubo, una roba. Che si pensa contenga il fucile. Bene, tutto corretto. Oswald ha visto che sotto le sue finestre passerà nientepopodimenoche. Decide che entra nella storia. Porta il suo fucile. Lo nasconde. In un tubo, una cosa del genere. Giusto, coerente, razionale. Ore dodici e qualcosa. Oswald sale. Deve andare nel posto in cui sparerà. C’è il tizio che mangia il pollo. Cosa ha in mano Oswald? Non c’è dubbio, secondo me. Ha in mano quel tubo, mica piccolissimo. Contiene un fucile. Bene. L’operaio finisce il suo pollo. Oswald si piazza e spara. Poco meno di due minuti dopo Oswald è di sotto. Lo vede un poliziotto. In mano non ha nulla. Il fucile lo troveranno. Il tubo? Dov’è finito?
    Grazie. In anticipo. E a prescindere.

    Rispondi
    • 19 Luglio 2015 in 16:33
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      salve Andi.

      non era un tubo. era un pacco di cartone incartato con nastro da pacchi, che fu ritrovato ed esaminato. (http://mcadams.posc.mu.edu/bag.htm). il pacco conteneva fibre della coperta in cui Oswald aveva avvolto il fucile nel garage dei coniugi Paine, per il tempo in cui lo aveva tenuto nascosto là.

      Rispondi
  • 9 Ottobre 2014 in 16:20
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    CI ILLUMINI LEI, CARO ALESSANDRO, SULLE CAPACITA’ DI QUELL’ARMA E DI QUEI PROIETTILI. NOI E GLI ESPERTI BALISTICI AMERICANI CHE HANNO AVVALORATO QUESTA IPOTESI NAVIGHIAMO NELLE NEBBIE DELL’IGNORANZA E DELL’INCOMPETENZA. CHE FORTUNA AVERLA INCONTRATA!

    Rispondi
  • 22 Luglio 2014 in 14:32
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    scusatemi vorrei capire questa frase!!!! Per spiegare il primo colpo andato a vuoto…
    “. La spiegazione più probabile è che Oswald, nella concitazione, sparò quel primo colpo o attingendo l’intelaiatura del semaforo tra la Houston e la Elm, o colpendo un ramo della quercia che, in quel momento, gli stava parzialmente ostruendo la visuale. Il colpo deviato rimbalzò prima sull’asfalto di Elm Street (circostanza, questa, confermata da quattro agenti motociclisti della scorta, Billy Joe Martin, James M. Chaney, Stavis Ellis e William G. Lumpkin, che dissero di aver visto l’asfalto di Elm Street colpito da un proiettile); un suo frammento, poi, schizzò via in direzione del marciapiede su cui si trovava Tague.”

    secondo voi o Oswald colpisce il semaforo o il ramo di quercia devia un proiettile che viaggia a 650 metri al secondo! va bene che siete giornalisti e magari non avete la minima idea di come si calcoli in fisica la forza espressa in Joule di un proiettile? a me questa spiegazione fa ridere! La vostra cortesia e la vostra dialettica è inutile se scrivete delle castronerie di questo tipo! o il colpo colpisce il semaforo oppur eil ramo di quercia! e in ogni caso è impossibile asserire balisticamente una teoria ancora + bizzarra della pallottola magica!! ricostruiamo insieme la sparatoria nei dettagli col film di zapruder insieme…senza censure…sono convinto che Posner e Mc adams sostengano solo castronerie

    Rispondi
  • 20 Giugno 2014 in 17:16
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    Mi domando ,non so se mi sa rispondere.come mai non è scoppiata una guerra x l assassinio di Kennedy? Avevo letto che la commissione Warren fu creata x evitare una guerra causata dall assassinio di Kennedy.ma poi non ci fu,e non so perche.la prima guerra mondiale fu causata da un rivoluzionario (arrestato e rinchiuso in prigione)che assassino Francesco Ferdinando.come mai x Kennedy non scoppio una guerra tra America e Russia?dato che Oswald aveva pure una cittadinanza acquisita russa?

    Rispondi
    • 20 Giugno 2014 in 21:22
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      perché Oswald era americano. in nessun modo poteva essere visto come un russo che uccise Kennedy.

      Rispondi
      • 22 Giugno 2014 in 1:22
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        E allora perché si è tanto parlato dopo la morte di Kennedy di una possibile guerra nucleare,provocata da questo assassinio?e poi non ci fu? .se ha visto il programma televisivo (serata kennedy)messo in onda il 22 novembre 2013 dopo il film parkland ,parlando due giornalisti,hanno detto che per evitare lo scoppio di una guerra ,dopo che l assassinio di JFK ha avuto un enorme impatto sul paese e sulla politica,hanno appunto incolpato Oswald,il presunto mandante sarebbe stato castro.dovevano x forza incolpare qualcuno .Sta di fatto che ,qua ogni uno dice cose diverse,i giornalisti dicono cosi e fanno programmi con le loro teorie complottiste e continuano a portare avanti l idea del complotto,e lei sig. Ferrero scrive articoli dove dice che Oswald fu l unico colpevole e non ci sono mai stati complotti.la gente cosa dovrebbe credere? Sta di fatto che kennedy sapeva benissimo che lo avrebbero fatto fuori,perche voleva rivoluzionare e cambiare troppe cose ,molte delle quali ,c’è un business di triliardi di dollari.E penso che nessuno le cambiera mai.Complotto o non complotto,è sicuramente certa una cosa,che chi veramente comanda il mondo intero,non è ne il papa ne tanto meno un presidente degli stati uniti d america,sono persone molto più influenti e potenti di loro,dove per loro esiste un unico Dio,il dio denaro.tutti pensiamo di essere persone libere,ma non è cosi,siamo solo delle pedine .

        Rispondi
  • 20 Giugno 2014 in 17:10
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    Scommetto che non mi sa rispondere sul perche hanno deciso di nascondere preziose prove sul caso kennedy per tutti questi anni.la cosa è alquanto strana.aprendo i documenti ,potremmo essere sicuri che non si è trattato di un complotto.non vedo motivi logici da tenere chiusi documenti al pubblico per tutti questi anni,invece di renderli pubblici .tempo fa ho letto un altra intervista dove dicevano che Kennedy fu assassinato al posto di Fidel castro.

    Rispondi
    • 20 Giugno 2014 in 21:21
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      la sicurezza nazionale è un argomento che non si può trattare al bar.
      le prove e i documenti a disposizione, dopo 50 anni, sono sovrabbondanti: c’è tutto quello che serve, pur nella sciatteria delle indagini iniziali, per capire come siano andate le cose.
      il motivo per cui i documenti relativi a casi come questo vengono secretati è proprio quello di evitare (ma evidentemente non ha funzionato) il divulgarsi di notizie che possano compromettere la stabilità delle istituzioni. le ricordo che Kennedy fu ucciso nel 1963, in piena guerra fredda. se anche solo fosse emerso che questo Oswald poteva aver avuto qualche protettore, o si potesse vagamente intuire da qualche testimonianza, o se si fosse venuto a sapere che Hoover spiava i Kennedy, o che si stavano compiendo operazioni illecite contro Usa e Cuba, gli Usa sarebbero stati esposti a uno scandalo disastroso, e chissà la Storia come sarebbe andata.

      oggi, è normale che noi si veda la secretazione dei documenti (che comunque, anche se con altre sensibilità, rimane prassi di tutte le nazioni) con un occhio diverso rispetto al 1963.

      Rispondi
  • 20 Giugno 2014 in 16:41
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    Non dice nulla a proposito di tutti i documenti nascosti su JFK che dovrebbero essere svelati soltanto nel 2017,anche se dalla inizio dovevano rimanere segreti per piu di 70 anni. Come mai sono stati nascosti per tutti questi anni e cosa dovranno dirci di nuovo?

    Rispondi
    • 20 Giugno 2014 in 16:46
      Permalink

      posso darle un consiglio? prima di chiedere la desecretazione dei documenti nascosti, consulti l’uno per mille dei documenti già disponibili da decenni, che trova qui e su parecchi altri siti di informazione sulla vicenda. le basteranno per iniziare ad avere un’idea compiuta sul caso Kennedy.

      Rispondi
      • 20 Giugno 2014 in 16:54
        Permalink

        Si ma non ha risposto ,se è stato Oswald a sparare,non capisco xche nascondere i documenti sul caso kennedy per tutti questi anni.a che scopo,se è andato come scrive lei,non capisco perche dovrebbero nascondere preziose informazioni,che magari darebbero piu credito alla sua teoria.

        Rispondi
  • 20 Giugno 2014 in 15:38
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    Lei dice che Oswald era l unico dipendente assente dal deposito libri,ha prove di quello che dice? il programma mixer dedicato a Kennedy afferma che Oswald non fu l unico a essere assente.

    Rispondi
    • 20 Giugno 2014 in 15:52
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      a parte il fatto che Minoli non “dice” nulla, quella puntata di Mixer era un copia-incolla del lavoro di Chris Plumley (http://www.johnkennedy.it/?p=295). io non ho mai detto che fosse l’unico assente: Oswald era l’unico assente SENZA PERMESSO. gli altri non erano al lavoro avendo usufruito di un permesso lavorativo. invece Oswald, che sarebbe dovuto rientrare dopo la pausa pranzo, scappò senza che all’ufficio personale nessuno sapesse nulla. questo non le suggerisce nulla?

      Rispondi
  • 20 Giugno 2014 in 14:56
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    ah… ho letto tutto quello che c’è sul sito in meito agli argomenti da me indicati ….non ho trovato nulla di esauriente …. inoltre vorrei anche farle presente che la maggior partre delle fonti che lei cita sono studi finanziati dal governo americano … è uin pò come entrare in una macelleria e chiedere al macellaio se la carne che vende è buona .

    Rispondi
    • 20 Giugno 2014 in 16:03
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      risposte dirette a domande dirette:

      1) lei vuole essere illuminato su un qualcosa che non è un fatto, e cioè “perché Oswald sparò a corteo ormai alle sue spalle”. lei sa benissimo che non esiste una risposta oggettiva alle speculazioni. comunque: lei mi dice che il tiro frontale da Houston Street sarebbe stato più facile, io posso risponderle che Oswald può aver visto l’auto venirgli incontro con la scorta rivolta verso di lui ed essersi accucciato, per poi far spuntare la canna del fucile dalla finestra al momento della svolta in Elm Street e, con tutti gli occhi ormai puntati altrove, iniziare a fare fuoco.

      2) se lei non è soddisfatto “da tutto quello che ha letto sul sito in merito” alla capacità di Oswald e alle caratteristiche del fucile, beh, non so proprio cosa dirle. resta il fatto che quello era un tiro piuttosto facile, a distanza molto ravvicinata (http://www.johnkennedy.it/?p=25) e che fu tutt’altro che “perfetto” (un tiro a vuoto, uno alla schiena/collo il terzo alla testa).

      3) sulle fonti: quello che lei dice è semplicemente falso.

      Rispondi
      • 21 Giugno 2014 in 12:14
        Permalink

        quello che lei sostiene non essere un fatto io lo definisco un indizio importante che va a sommarsi alla caterba di indizi che formano una prova, Oswald avrebbe potuto sparare tranquillamente dalla posizione in cui era senza essere visto poichè gli sarebbe bastato, viste le sue doti, un solo colpo per centrare la testa del Presidente, avrebbe avuto tutto il tempo di ritirare la canna del fucile prima ancora che gli sguardi dei presenti puntassero verso la finestra in questione , un killer appostato non prende neanche lontanamente in considerazione l’eventualità di dover far fuoco più di una volta per centrare il bersaglio.
        Un fucile a caricamento manuale mi obbliga necessariamente a distogliere lo sguardo dal mirino per inserire la munizione nella camera di cartuccia, fatto questo devo poi riposizionare l’arma per consentire l’allineamento necessario mirino occhio ed esplodere il colpo e tutto questo mentre il bersaglio è in movimento in un punto della strada che rende il tiro stesso, come si dice in gergo, sporco?? … francamente non sta in piendi.
        Rilegga ciò che lai ha inserito nel sito è noterà che le fonti citate da cui ha attinto le informazioni con cui documenta le varie smentite, sono quasi tutte riconducibili a pezzi del governo americano. La saluto

        Rispondi
        • 21 Giugno 2014 in 14:29
          Permalink

          veda, signor Sergio,
          prima di tutto in nessuna aula di tribunale al mondo lei potrebbe chiamare ciò di cui parla un “indizio”, men che meno importante. lei fa un’inferenza, una congettura puramente teorica, e pretende che diventi un qualcosa di oggettivo. ma lei cosa ne sa di cosa un assassino può fare o pensare nel giro di pochi secondi, prima di un attentato? le faccio presente (cosa che da anni ripeto ai neofiti) che l’utente medio ha il difetto di aver rivissuto la scena in Dealey Plaza mille volte, ragionando ex post su cosa sarebbe stato meglio fare o non fare. ma Oswald non sapeva né quando, con precisione, né cosa si sarebbe parato innanzi al suo sguardo con l’arrivo del corteo. non sapeva a che velocità sarebbe passata l’auto, non sapeva se sarebbe stata coperta o scoperta, non sapeva se sui predellini sarebbero stati presenti gli agenti (Kennedy non li volle). quindi io trovo più che normale che, vedendo arrivare l’auto, si sia accucciato per timore di essere avvistato.

          idem per le altre sue congetture sul killer che non prende in considerazione di sparare più di una volta. Oswald non era un professionista delle esecuzioni. non aveva studiato a tavolino il piano di azione, se non per sommi capi. infatti il suo attentato poteva tranquillamente andare a monte, dopo il primo sparo. sui tempi di ricarica, le distanze di tiro e le possibilità di Oswald al tiro dal sesto piano, può consultare la pagina dedicata alla ricostruzione della sparatoria (http://www.johnkennedy.it/?p=231) e vedrà che tempi e modi tornano perfettamente.

          non ho alcun bisogno di rileggere ciò che ho scritto, tratto la materia dal 1993 e credo di avere una certa dimestichezza con le fonti. Gerald Posner non mi pare un pezzo del governo americano. John McAdams non mi risulta a libro paga del Congresso. i documentari di Discovery e History Channel non credo proprio siano emanazione dell’ufficio stampa del parlamento americano né di alcun governo.

          ciò che viene documentato su johnkennedy.it è circostanziato, si dice cosa è successo e perché, e cosa non può essere successo su base scientifica. quali sarebbero le fonti di smentita affidabili che, mi pare di capire dal tono dei suoi scritti, andrebbero consultate? Jim Marrs? Plumley? Quel cazzaro da web di Mazzucco?

          Saluti a lei,
          FF

          Rispondi
          • 23 Giugno 2014 in 13:41
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            Bhè… iniziamo col dire che tutto ciò che viene documentato su Oswald è una serie di informazioni che vennero puntualmente fornite al momento giusto dal governo Americano ..a meno che lo spirito del defunto killer non le è venuito in sonno per raccontarle delle sue doti da tiratore … tutto ciò che si conosce su Oswald si apprende dai vari organismi governativi che diffusero vita , morte e miracoli del suddetto. Per quanto riguarda i documentari che lei cita … vede … una rappresentazione scentifica che tende a ricostruire le dinamiche di un evento non potrà mai dirci con assoluta certezza se ciò che riproduce è ciò che è accaduto realmente perchè altrettante dimostrazioni scentifiche posso smentire ciò che lei fa vedere… e inoltre non si avranno mai ..mai ..mai le medesime condizioni di quell’attimo .. movimento e velocità del bersaglio.. stato d’animo del tiratore.. luce, vento… e sopratutto lo stesso identico fucile….
            Per quanto riguarda a Oswald , sulla sua scelta di non sparare al bersaglio frontalmente… bhè lei sceglie di ridimensionare il tutto con una considerazxione improponibile visto che non è scentificamente provabile.. ma vede Dottore… le indagini non si basano esclusivamente su prove scentifiche ma partono anche da elementi soggettivi… ma perchè dovremmo ricordarci delle documentate doti balistiche del tiratore e poi non considerare anche il fatto che un eccellente tiratore prenderebbe in considerazione anche tutta quella sequela di cose da me citate nel precedente post…??… io non cito ne Jim Marrs, Plumley ne Quel cazzaro da web di Mazzucco….io leggo e ascolto tutte le campane e poi formo la mia personale idea …supportata anche dalla mia esperienza nel campo.. non faccio il killer ovviamente ma le indagini investigative sono il mio pane…. la potrei inondare di elementi e indizi che si sommano ad una altra serie impressionante di elementi e indizi già riscontrati ma rischierei di annoiarla.. e poi lei non farebbe altro che citarmi link del suo sito o di altri ….per supportare la tesi su base scentifica … per un verso e su altro verso con rivelazioni che non si sa bene da dove provengano .. ma lei è così sicuro che tutto ciò che esula dalla parte scentifica sia assolutamente degno di fede???? saluti

          • 8 Ottobre 2015 in 16:23
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            Mi piacerebbe leggere una risposta convincente al commento qui sotto, del signor Sergio, che condivido appieno…inoltre mi sorprendo di quanto efficiente fu la polizia a dare un volto e un nome al responsabile dopo poche decine di minuti dall’assassinio. Altra cosa che andrebbe approfondita sul serio: le molteplici discordanze sugli spostamenti e comportamenti di Lee nei minuti dell’attentato. In definitiva, mi sembra che ci siano ragionevoli dubbi su questa pagina nera della nostra storia sufficienti a pensare che si, è possibilissimo che Oswald sia stato un capro espiatorio.

  • 20 Giugno 2014 in 14:42
    Permalink

    Le pongo poche e dirette domande : perchè apsettare che la vettura presidenziale arrivasse in quel punto così ostico per tentare di bersagliare a morte Kennedy invece di sparare quando la visuale era perfetta con vettura davanti alla finestra ,ovvero prima della curca famosa ?? come ha fatto a mantenere una mira perfetta con un fucile a carica manuale ???

    Rispondi
    • 17 Maggio 2017 in 6:40
      Permalink

      Il Carcano non è a carica manuale, nel senso che si inserisca il singolo bullet, ha una latrina di caricamento da sei colpi, di manuale ha solo l’otturatore Bolt action da innescare manualmente, in unte di un secondo. LHO ebbe 8-9 secondi per sparare i tre colpi. Finitela di vedere solo il film di Stone, o di pensare a cazzate cospirazioniste, se proprio non volete studiare vedetevi almeno questo documentario, con le rilevazioni balistiche, e capirete . https://www.youtube.com/watch?v=8eGvEdOfBUY

      Rispondi
  • 20 Giugno 2014 in 12:40
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    non sono convinta che nell’arco di 10 -15 anni possano morire 44 testimoni mi sembra veramente assurdo ….pensare che siano morti casuali e tutti questi arresti cardiaci????? Perche poi le impronte di Oswald vennero trovate sull arma solo dopo la morte di Oswald? Quando l arma prima della morte di Oswald venne minuziosamente esaminata per giorni x ricercare impronte,e non ve ne trovarono?perche la prima versione dei medici che dicevano che era un colpo frontale ad uccidere kennedy e che la ferita alla testa era a forma di uovo ,fu cambiata in un secondo momenmto ,dicendo che la ferita era di dietro e la ferita alla testa era molto piu ampia ,per adattarsi a quello che diceva la commissione Warren?perche il tragitto del corteo presidenziale fu cambiato alla ultimo momento ed ordinato di fare andare la macchina presidenziale a10 km all ora,guarda caso da un membro della CIA?il primo attentato su Kennedy fu il 9 novembre 63 ma non ce l hanno fatta,allora 5 giorni prima del 22 novembre i servizi segreti vennero a conoscenza che si sarebbe stato un altro possibile attentato per il 22 -23 novembre.perche non lo hanno protetto con tutti i mezzi disponibili? Perche Oswald non ha sparato appena la macchina era di fronte il deposito libri,ma ha aspettato che si allontanasse per sparare?

    Rispondi
    • 20 Giugno 2014 in 13:03
      Permalink

      mi scusi: prima di scrivere questa raffica di domande, perché non prova a documentarsi sul sito? provi con le FAQ, per esempio. http://www.johnkennedy.it/?cat=2
      oppure usi il motore di ricerca. troverà risposta a tutte le sue domande, vedrà.

      Rispondi
  • 20 Giugno 2014 in 8:14
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    Mettendo x ipotesi che Oswald abbia sparato,cosa si dovrebbe pensare? Che dei pazzi psicolabili(perche cosi è stato definito Oswald) ti possono uccidere quando e come li pare?sembra di si,perche Kennedy non è stato il primo presidente degli stati uniti d America a essere ucciso,Kennedy è il 4. Ma ci rendiamo conto che già 4 presidenti d America sono stati uccisi? Quando dovrebbero essere straprotetti da ogni possibile assassinio? Kennedy non sarà ne il 1 ne l ultimo a essere ucciso.continueranno a essere uccisi altri presidenti in futuro.non credo che Oswald ha ucciso Kennedy,Kennedy è stato ucciso dalla mafia,la stessa mafia che lo ha eletto come presidente,perche ricordiamoci che è stato eletto grazie ai voti della mafia.se fosse veramente Oswald ad aver ucciso Kennedy,non si spiega perche ben 32 testimoni di quel assassinio sono morti in circostanze strane,chi si è suicidato,chi è morto in incidenti strani,o chi da colpo di arma da fuoco.

    Rispondi
  • 22 Aprile 2014 in 3:09
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    Gentilissimo Federico, ho trovato molto interessante la sua teoria e la sua spiegazione: su una cosa non sono d’accordo: Lee Harvey Osward. Le chiedo, pensando che lei abbia ragione sul singolo tiratore, perché un folle, marxista, come Osward finito l’attentato..lascia tutto in bella vista(tra l’altro arma comprata per posta e tracciabile quando poteva benissimo comprarla per strada) lascia il lavoro ingiustificatamente ammazza un poliziotto e invece di scappare finisce la giornata dentro un cinema.. Ora se io fossi un folle e avessi ucciso il presidente, dopo che lascio un fucile registrato a mio nome in bella vista.. Quando mi arrestano vado fiero del fatto di aver ucciso il presidente..vedi Ruby..perché se fossi un mitomane vorrei prendermi i meriti ed essere ricordato..ultima curiosità..come mai ne una volta arrestato e ne la commisione Warren assegnano un avvocato ad Osward? Non servono 2 tiratori per un complotto..

    Rispondi
    • 25 Aprile 2014 in 12:03
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      salve Miky,
      le considerazioni che lei fa non è che siano insensate, ma non hanno valore, per così dire… legale. col senno di poi, c’è sempre qualcosa che si può analizzare e considerare sospetto. ma la verità è che Oswald non aveva un piano di fuga, dopo l’assassinio di Kennedy. e infatti i suoi comportamenti sono quelli di un uomo perso, di un cane sciolto che reagisce di istinto. va a casa, prende la pistola, uccide un poliziotto, si nasconde in un cinema di periferia. anche sul perché non abbia confessato l’assassinio si può speculare quanto si vuole: Oswald, una volta arrestato, pensava di poter ingaggiare una lotta di astuzia con la polizia, e forse pensava di potersela cavare in un processo e di essere assolto per insufficienza di prove. chi lo sa. avvocato? beh, non ce n’è stato il tempo. non fu eseguito alcun atto formale, contro Oswald, che richiedesse necessariamente la presenza del suo avvocato: fu arrestato il venerdì pomeriggio, la domenica mattina era già morto. in ogni caso, se anche John Abt, l’avvocato che aveva richiesto, non si fosse detto disponibile a difenderlo, la legge gliene avrebbe assegnato uno di ufficio.

      Rispondi
      • 30 Aprile 2014 in 11:40
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        La domanda che a questo punto mi pongo è: perchè Oswald non aveva un piano di fuga? Ha agito senza premeditazione? Se veramente voleva ammazzare il presidente doveva pensare anche a un piano di fuga.

        Complimenti per il sito, è fatto veramente benissimo!

        Rispondi
        • 30 Aprile 2014 in 16:37
          Permalink

          ciao Astrid, e grazie. la tua domanda è legittima, ma purtroppo è davvero impossibile entrare nella testa di Oswald ex post e cercare di capire perché si sia comportato in quella maniera. a me, dopo tutti questi anni di studi, vien facile pensare che Oswald fosse talmente spiantato e disperato da non potersi neanche permettere un piano di fuga. in fondo i suoi comportamenti dell’ultimo giorno (aver lasciato la fede nuziale e i suoi pochi soldi a casa, dalla moglie ospite di Ruth Paine) indicano che non avesse neanche voglia di scappare: forse pensava di fare l’eroe, il prigioniero politico, pensava che in qualche modo sarebbe diventato una star planetaria e che se la sarebbe potuta cavare al processo. chi lo sa.

          Rispondi
  • 17 Marzo 2014 in 19:01
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    Con tutto il rispetto per la Famiglia Kennedy ci si chiede In defintiva, cosa é successo ?
    A partire da come ha fatto Oswald a sapere che il tal giorno in tal posto sarebbe passato il corteo di JFK. Quanti mesi prima incominciò a lavorate in libreria?
    Chi gli passò le informazioni?
    Perchè non si fece l’autopsia di JFK a Dallas.
    Perchè la commissione Warren fece una dichiarazione mendace del fatto?

    Possibile che dopo 50 anni non si sappia chi ha sparato, chi ha dato gli ordini per l’assassinio?
    Vi sarà ancora qualche losco personaggio coinvolto da coprire??

    Franco

    Rispondi
    • 25 Aprile 2014 in 12:21
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      caro Franco,
      si faccia un giro sul sito e troverà risposta ai suoi quesiti. dai falsi miti su Lee Oswald in poi. in ogni caso: Oswald iniziò a lavorare al deposito dei libri scolastici in Elm Street il 15 ottobre 1963. a quel tempo si era sì pianificato il viaggio in Texas di JFK ma vagamente, e soprattutto nessuno aveva ancora deciso il passaggio a Dallas, tanto meno per quella strada. la decisione di fare un corteo verso il Trade Mart venne presa ben dopo l’assunzione di Oswald; ironia della sorte volle che proprio Connally, che quasi restò ucciso nell’attentato, “provasse” e approvasse il percorso per quel maledetto 22 novembre.

      Rispondi
  • 12 Marzo 2014 in 18:02
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    Mi scuso per il post a monte….dove sono stato un poco brusco ma la motivazione fisico-balistica era secondo me improponibile a fronte di un poco di buon senso e conoscenza di fenomeni di dinamica che io conosco bene data la mia professione ,tanto che pensavo ci fosse una malafede a monte…..se così non fosse e ci fosse solo del sano giornalismo con delle opinioni legittime …chiedo scusa.
    Ing. antonello

    Rispondi
  • 12 Marzo 2014 in 17:52
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    Leggendo questa frase”In realtà, entrando nella teca cranica il proiettile fa esplodere la calotta e crea un “effetto jet” che spinge la testa di Kennedy dapprima, quasi impercettibilmente, in avanti, e poi violentemente indietro e a sinistra, compiendo un movimento che assomiglia molto a quello di chi emerge dall’acqua e ruota la testa all’indietro per non far ricadere i capelli in faccia.”…..ho riso ,mi dispiace per l’autore del sito ,ma è stata la mia reazione, aggiungo che l’effetto jet ,come viene chiamato, è prodotto negli aerei (semplificando) attraverso un energia tutta interna al propulsore che viene poi scaricata fuori….nel caso in esame trascuriamo purtroppo che qui c’è un corpo esterno che penetra la testa che è il fattore principale e la violenza del colpo primariamente avrebbe portato ad una forte accelerazione della testa in avanti e non lieve e forse ,vi concedo ma molto parzialmente quasi impercettibilmente, che solo secondariamente il famoso effetto jets si sarebbe potuto avere.
    Poi vedendo il resto del materiale ,l’informazione e la disinformazione, oltre la possibilità che il video zapruder sia stato anche trattato potremmo parlare a lungo senza basi valide di partenza……buona serata.

    Rispondi
    • 12 Marzo 2014 in 20:58
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      caro Ing. Antonello,
      non è con me che deve scusarsi per gli attacchi di ridarola. certamente non competente come lei, ma il premio Nobel per la fisica del 1968, Luis Alvarez, studiò l’effetto jet applicato all’assassinio di JFK.

      )

      sono sicuro di non doverle indicare siti di riferimento per scaricare l’esperimento di Alvarez, condotto sparando a meloni posti su una base in legno, perché da ingegnere troverà certamente tutta la letteratura di riferimento. mi permetto di aggiungere che anche gli esperimenti effettuati nei decenni successivi, condotti su manichini balistici dalle risposte motorie paragonabili a quelle umane (a parte l’assenza di sistema nervoso, certo non secondaria), hanno restituito risultati molto simili a quelli che il drammatico film di Zapruder riporta. per esempio, lo splendido lavoro di JFK – Inside the target car, realizzato con la consulenza di esperti anatompatologi, ingegneri, periti forensi. i risultati parlano chiaro.

      )

      come dice lei, potremmo parlare a lungo di tutto. le suggerisco di concentrarsi su una questione alla volta e di acquisire un livello di informazione minimo, tale da sostenere una discussione-base sul caso Kennedy. cosa che, in questo primo caso, è evidente non sia stata fatta. a disposizione per offrirle spunti (ma ne troverà sul sito, mi permetto di dirle).

      saluti
      FF

      Rispondi
    • 26 Ottobre 2018 in 0:35
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      assomiglia molto a quello di chi emerge dall’acqua e ruota la testa all’indietro per non far ricadere i capelli in faccia.”…..ho riso ,mi dispiace per l’autore del sito ,ma è stata la mia reazione, 

      SIGNOR ANTONELLO, LEI HA TRAVISATO QUESTA FRASE, CHE NON SI RIFERISCE STRETTAMENTE AL MOVIMENTO DELLA TESTA MA SOPRATTUTTO AGLI SPRUZZI DI SANGUE. LO SPRUZZO D’ACQUA DEI CAPELLI DI CHI FA QUEL MOVIMENTO IN ACQUA SOMIGLIA MOLTO ALLA “ROSA” DI SANGUE E BRANDELLI CEREBRALI CHE INVESTI’ DAPPRIMA GLI OCCUPANTI NELLA PARTE ANTERIORE DELL’AUTO E SUBITO DOPO . SUL RETRO –  I POLIZIOTTI DI SCORTA, COMPRESO CLINT HILL CHE TENTAVA DI ARRAMPICARSI SUL BAGAGLIAIO. QUESTO “MOVIMENTO DEI CAPELLI NELL’ACQUA” E’ UNA SIMILITUDINE PER FAR CAPIRE COME IL MOVIMENTO PRIMA VERSO AVANTI E POI VIOLENTEMENTE INDIETRO ABBIA PRODOTTO SPRUZZI SANGUIGNI E DI MATERIA PRIMA VERSO LA PARTE ANTERIORE E POI VERSO QUELLA POSTERIORE DELLA LIMOUSINE. SE VUOLE RIDERE FACCIA PURE. LA SUA RISATA NON CAMBIERA’ LA REALTA’ DELLE COSE.

      Rispondi
  • 10 Marzo 2014 in 20:14
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    Ancora stò ridendo quando viene spiegata la dinamica del colpo assassino quello che secondo lei
    colpendo da dietro sposta la testa all’indietro……..spiegazione che si può bere qualcuno, il grande Totò diceva” Ma mi faccia il piacere”

    Rispondi
    • 10 Marzo 2014 in 20:54
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      gentile Antonello662,
      sono lieto di contribuire al suo buonumore.
      sarei ancora più lieto se potessi offrire un contributo per provvedere alla diminuzione del suo tasso di ignoranza, ma temo lei sia un caso disperato.

      stia bene,
      FF

      Rispondi
    • 12 Marzo 2014 in 13:29
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      Ciao Antonello,ho trovato un sito dove si vuole provare a fare credere alle persone che il film di Zapruder è stato tagliato e modificato per chissà quale motivo.Però non è quello che m’interessa.E’ interessante invece vedere l’animazione di 2 fotogrammi (Z312-313) in quel sito (a scanso di equivoci è la seconda animazione).
      Si vede chiaramente che al momento dello terzo sparo,prima del famoso “Indietro e a sinistra” Kennedy viene leggermente spinto in avanti,lo sparo veniva da dietro e quindi non c’è nessuno sparo dalla collinetta erbosa!

      http://www.assassinationscience.com/johncostella/jfk/intro/index.html

      Anch’io una volta credevo al complotto ma mi sono dovuto ricredere consultando documenti,foto e filmati ufficiali su internet e mi sono fatto un opinione personale al riguardo senza farmi influenzare dai vari siti pro o contro il complotto.

      Rispondi
  • 20 Dicembre 2013 in 16:58
    Permalink

    Cmq, ottimo lavoro, ottimo sito.

    Rispondi
  • 20 Dicembre 2013 in 16:39
    Permalink

    Una obiezione. Perché è stato fatto sparire il cervello del Presidente?
    Semplice x me. Avrebbe dimostrato senza alcun dubbio la presenza di più cecchini…
    È tutta qui la sostanza.

    Rispondi
    • 23 Dicembre 2013 in 8:03
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      salve Carmelo,
      grazie per il commento. ma la sostanza non è tutta qui. lei parte da un assunto falso per farne discendere una (secondo lei) logica conseguenza: in realtà il cervello di JFK andò sì perso, ma né “sparì” come lei suggerisce (legga qui, nel paragrafo dedicato al reperto conservato negli Archivi Nazionali: http://www.johnkennedy.it/?p=191) né, soprattutto, se fosse stato conservato fino ai giorni nostri sarebbe successo ciò che dice lei. è vero il contrario: guardi le radiografie del cranio di Kennedy, che invece sono state conservate (qui, nella ricostruzione della sparatoria, verso il fondo del testo: http://www.johnkennedy.it/?p=231). i raggi X del cranio mostrano l’opposto di quanto lei dice, e cioè che Kennedy fu colpito chiaramente da dietro e non da davanti.

      un cordiale saluto
      FF

      Rispondi
      • 5 Marzo 2014 in 3:23
        Permalink

        Chiedevo se avete notato del fumo alla dx di zapruder in concomitanza del terzo sparo epoi se i movimento del Presidente. Sia imputabile all auto che accelera ed un eventuale quarto colpo che non colpisce ma siccome vicino fa accelerare l autista

        Rispondi
  • 1 Dicembre 2013 in 23:06
    Permalink

    Buonasera Sig. Ferrero: Trovo questo sito estremamente interessante e, ciò che più conta, notevolmente serio.
    Ritengo che ciò che più sollecita le critiche nei suoi confronti sia l’implacabile esclusione da parte Sua, stando alle prove, di interventi diretti di terzi oltre ad Oswald. Ciò crea un vulnus notevole al desiderio di continua analisi di una vicenda così drammaticamente eclatante. ma costituisce, con grave delusione dei complottisti, una mera applicazione del rasoio di Occam: la spiegazione più semplice è da preferire, Oswald era lì, aveva un fucile, era un bravo tiratore, era un frustrato cronico voglioso di entrare nella storia, era un marxista, la balistica e la medicina legale dicono che la posizione del sesto piano del palazzo è ragionevolmente corretta rispetto alle ferite del Presidente, il filmato Zapruder se non conferma del tutto, certamente non smentisce, alcuni testimoni riferiscono di movimenti alla finestra, ecc.ecc.
    Fermo restando che le prove, anche se non forse precise e indiscutibili come avrei desiderato, portano a Oswald, ci sono alcune considerazioni che mi assillano da anni e su cui mi piacerebbe avere un Suo commento.
    Personalmente ho sempre ritenuto che è impressionante la vicinanza della parte finale sinistra (in posizione di chi osserva Elm Street dal lato destro della strada) dello steccato sulla collinetta erbosa e della parte finale sinistra della porzione monumentale di colore chiaro a fianco dello stesso steccato (mi pare siano divisi da una piccola lingua verde, in cui sussisteva probabilmente pure una panchina), rispetto al percorso previsto per l’uomo più importante del pianeta alla data del 22/11/1963 e al punto preciso, o quasi, dell’impatto del proiettile fatale.
    La fotografia “Moorman” documenta drammaticamente questo aspetto, così come è di palmare evidenza anche dalle ricostruzioni dall’alto.
    Io non me ne intendo di sicurezza e di intelligence, ma Lei cosa pensa del fatto che una simile esile e vicinissima “barriera” che divideva il percorso presidenziale da un area di parcheggio limitrofa alla ferrovia non potesse essere sorvegliata, piantonata, presidiata. Io penso che lo sia stata e se lo è stata che ciò possa risultare dai documenti della polizia di Dallas o dei servizi di sicurezza. Se non ho capito male, risulta la presenza di vigili o agenti sul triplo sottopassaggio di poco successivo al luogo dell’assassinio. Mi sembrerebbe del tutto incoerente che non ve ne fossero a poche decine di metri, ma in settore molto viciono al passaggio del Presidente.
    Se l’area non era “presidiata”, un problema comunque deve essere individuato e una riflessione deve essere aperta. Sarebbe una mera disfunzione tecnico-organizzativa che riporterebbe la grande America ad un’altezza inferiore a quella della nostra cara piccola Italia?
    Io non volgio solo sapere se la ferita d’ingresso nel cranio del Presidente è stata posteriore o laterale o anteriore, io voglio sapere quali sonoi nomi dei poliziotti/agenti presenti in loco. Se non ve ne erano o il dato è irrecuperabile, il problema rimane.
    Il complottismo si può cibare anche di carenze ed inefficienze di chi dovrebbe fare bene il suo lavoro e non lo fa. Quindi le sarei molto grato se mi potesse dare qualche elemento conoscitivo ulteriore in merito.
    Non vorrei che i complottisti dovessero scoprire che si sono cibati per anni di mere eventuali disfunzioni organizzative della macchina di sicurezza. Per chiudere sul punto, io sarei molto più stupito dal fatto che sul poggio non vi fossero parecchi “badge men” piuttosto che dal fatto che ve ne possa essere stato uno………….

    La seconda questione è legata alla presenza di Zapruder sul monumento a filmare l’assassinio del presidente. Sono d’accordo con chi ha già scritto che la presenza e la libertà di azione Zapruder non è compatibile con un complotto su larga scala, non per semplicismo, ma perchè la vicinanza della posizione di Zapruder rispetto alla posizone ipotetica dello sparatore sulla grassy knoll è niente meno che ridicola.

    La terza questione è una richiesta della sua opinione sull’afflusso di decine di persone sulla grassy knoll pochi secondi dopo lo sparo, testimoniato anche in modo filmato. Ho letto che si sarebbe verificato solo a seguito della fermata di un poliziotto che, parcheggiata la moto a bordo strada era salito sulla collinetta, immagino per qualche motivo legato o alla sua percezione diretta o a indicazione di qualcuno del pubblico. il fatto che la gente salga solo dopo un poliziotto armato non mi sembra affatto strano, poichè se vi era il sospetto che la zona potesse avere a che fare con gli spari, non penso che i presenti fossero tutti ferventi patrioti vogliosi di bloccare un eventuale killer armato. Faccio inoltre notare che, dal filmato preso dal versante opposto a Zapruder, il movimento dei tre spettatori presenti sulla piccola scalinata lungo il pendio è chiaramente un movimento di chi si vuole mettere al riparo e i tre vanno proprio in direzione della collinetta e della staccionata, movimento difficilmente compatibile con spari o percezione di spari provenienti proprio da quella direzione………
    Lei che idea si è fatto di quei primi minuti dopo il passaggio presidenziale sulla grassy knoll? E’ una fase su cui il buon Oliver Stone gioca in modo mirabile e quella che più mi ha intrigato di tutto il film del 1991.
    Risulta comprovato che il poliziotto che, abbandonata la moto, salì sul poggio, vi trovò persone che recavano distinitivi vari? (vedi anche mia prima considerazione). Qual’è la sensazione che Lei ha tratto dalla lettura delle testimonianze di coloro che salirono in quei minuti sulla collinetta?.

    Chiudo con una considerazione finale per il povero Lee Bowers che Lei liquida velocemente e i cui verbali di testimonianza La ringrazio di avere riportato. Costui era un testimone decisamente intreressante perchè l’unico (o forse ve ne sono altri?) posto dalla parte dietro alla staccionata. Se è vero che costui alla fine non usò espressioni particolarmente esplicative ed inequivoche, era comunque in grado dare un contributo sulla tipologia di eventuale sorveglianza utilizzata in zona e che, dai verbali, sembrerebbe essere sostanzialemtne assente, v. mio punto 1).

    Ringrazio in anticipo e spero che possa riscontrarmi

    saluti

    Daniele

    Rispondi
    • 23 Dicembre 2013 in 8:17
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      salve Daniele, grazie per il suo articolato commento.
      rispondere in breve alle sue considerazioni è pressoché impossibile. l’assassinio Kennedy portò a una pesante revisione delle procedure di sicurezza dell’apparato presidenziale: un po’ come gli incidenti aerei, purtroppo ogni fatto tragico aumenta la sicurezza, ma ovviamente solo… per chi sopravvive. oggi Obama non sarebbe mai portato al centro di una piazza, in bella vista, con centinaia di finestre aperte senza adeguati controlli. c’è una sezione del Warren Report che si dedica proprio a questo tema, le indicazioni e i suggerimenti (recommendations) per il futuro da trarre dall’attentato di Dallas. le può leggere qui, se è pratico con l’inglese.

      sull’afflusso della gente in cima alla collinetta: è vero che una parte (minoritaria) dei testimoni in piazza ebbe l’impressione che qualcosa fosse capitato in cima alla collina, e corse su per il grassy knoll. qui non ci sono studi scientifici da predisporre, se non che l’effetto-eco provocato dalla conformazione della piazza ha fatto sì che qualcuno avvertisse come fonte degli spari solo o anche la collinetta. tuttavia, come lei stesso dice, Zapruder era lì, a un passo, eppure non sentì sparare dalla sua destra, anzi, disse che i colpi provenivano da una zona a lui posteriore (il deposito era arretrato, rispetto alla sua posizione). vero anche che non tutti quelli che corsero in quella direzione volessero disarmare i killer, anzi, gli spettatori sulla scalinata corsero per allontanarsi da quelli che ritenevano spari in piazza, e per farlo andarono proprio verso lo steccato da cui, secondo alcuni, spararono in testa al presidente.

      Lee Bowers, non credo di averlo “liquidato velocemente”: ho raccontato la sua storia, le sue versioni, la sua morte e l’indagine sull’incidente stradale che gli fu fatale. sono sicuro che in quei tre anni dopo l’assassinio ebbe a dire tutto ciò che sapeva, Mark Lane ne registrò per intero testimonianza e considerazioni… Il fatto è che non vide niente, e fu abbastanza onesto da dire che non vide niente di concreto, solo delle impressioni che contribuirono a convincerlo della presenza di più assassini. Per fortuna, a differenza di Jean Hill, non arrivò mai a inventarsi cose e persone di sana pianta (ma chissà, fosse vissuto altri trent’anni magari sarebbe capitato).

      saluti
      FF

      Rispondi
      • 23 Dicembre 2013 in 14:29
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        Sig. Ferrero mi permetta di dissentire su di un passaggio della sua risposta: “Zapruder era lì, a un passo, eppure non sentì sparare dalla sua destra, anzi, disse che i colpi provenivano da una zona a lui posteriore (il deposito era arretrato, rispetto alla sua posizione).”. la finestra dalla quale sarebbero partiti i colpi è leggermente arretrata rispetto a Zapruder al momento del colpo fatale (perciò percezione dello sparo posteriore e a sinistra),ma se consideriamo il movimento della testa di Zapruder nel seguire la macchina presidenziale con la telecamera, per i primi 2 colpi dal 6° piano dovrebbe avere avuto la percezione che arrivassero da posizione anteriore e a sinistra, non posteriore. Questa è geometria. Guardando questa foto si può capire cosa intendo. http://www.federaljack.com/wp-content/uploads/2013/03/AERIAL-PHOTO-OF-DEALEY-PLAZA.jpg
        Conclusione, se i colpi sono partiti tutti dallo stesso punto Zapruder si è sbagliato, almeno per quel che riguarda i primi due colpi se le cose sono andate come dice la versione ufficiale.
        Con questo volevo solo far notare che in un evento di tali proporzioni (per svariati motivi) non esistono testimoni attendibili al 100%, tant’è che molti testimoni quel giorno ebbero percezioni differenti.
        Purtroppo ho notato che spesso i siti che trattano l’argomento (sia cospirazionisti che non) usano le testimonianze ritenendole attendibili quando avvalorano la loro tesi e non attendibili quando le contrastano.

        Rispondi
        • 23 Dicembre 2013 in 23:13
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          Chiedo scusa, per evitare spiacevoli incomprensioni sono l’autore del commento subito sopra, mi chiamerò Daniele2, non sono il DANIELE a cui Ferrero ha risposto. Spero di non aver creato confusione. Saluti.

          Rispondi
  • 30 Novembre 2013 in 17:11
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    E’ l’esplosione della parte anteriore destra del cranio a far muovere indietro e a sinistra la testa del presidente.. Da sove venisse lo sparo ha poca rilevanza..

    Rispondi
    • 29 Dicembre 2013 in 17:47
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      MI SEMBRA QUESTA DI NICOLA UNA RISPOSTA PER NULLA SODDISFACENTE, CHE LASCIA INTATTI TUTTI I DUBBI IN MERITO ALLA DINAMICA…………

      Rispondi
  • 29 Novembre 2013 in 19:57
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    VOLEVO FARE UN’OSSERVAZIONE SUL TERZO E FATALE COLPO. IO HO QUALCHE PERPLESSITA’, MA PRENDIAMO PER BUONO IL FATTO CHE UN CORPO, ANZICHE’ MUOVERSI IN DIREZIONE OPPOSTA ALLO SPARO CHE LO COLPISCE COME IPOTIZZA OLIVER STONE, AL CONTRARIO SI POSSA MUOVERE VERSO LO SPARO (MI PARE CHE SOPRA SI DICA QUESTO). PRENDIAMO PER BUONO ANCHE IL FATTO CHE SIA STATO OSWALD A SPARARE QUEL COLPO. PRENDENDO PER BUONI QUESTI DUE ELEMENTI, NON SAREBBE CONSEGUENTEMENTE LOGICO ASPETTARSI UN MOVIMENTO DELLA TESTA DI KENNEDY INDIETRO E A DESTRA (DATA LA POSIZIONE DI OSWALD) ANZICHE’ A SINISTRA……..? PREMETTO CHE NON SONO CERTO UN ESPERTO DI BALISTICA, PERO’ QUESTO MI FA RIFLETTERE………

    Rispondi
    • 3 Agosto 2017 in 21:40
      Permalink

      c) il terzo proiettile attinge ancora il Presidente a poco più di 80 metri dalla finestra del deposito, al fotogramma 312, ossia circa 4,8 secondi dopo il secondo sparo e circa 8 secondi dopo il primo. Con un ‘ inclinazione di circa 15°, raggiunge quasi tangenzialmente la sommità dell ‘ occipite e fuoriesce dalla zona frontale destra, con un effetto esplosivo che asporta la parte destra delle ossa temporo-parietali e dell ‘ emisfero cerebrale. Il foro ovoidale d ‘ ingresso di questo proiettile che ha frammentato le ossa craniche misura 15 x 6 millimetri. Su L ‘ Unità del 29 novembre 1963, p. 3, il dottor Armando Coljca di Roma e il giornalista Giorgio Grillo riportano il parere del primario di medicina legale professor Silvio Merli di Roma, secondo cui “è reperto comune, nelle ferite del cranio, osservare un piccolo foro d ‘ entrata, delle dimensioni all ‘ incirca del proiettile, e un vasto foro d ‘ uscita prodotto appunto dal moltiplicarsi dei proiettili costituiti dai frammenti ossei”. Nell ‘ ottobre 1996 sia il dottor Coljca che il professor Merli mi hanno confermato quanto scritto allora sul quotidiano comunista. Analoghe ferite sono riscontrabili nel volume del dottor Giovan Francesco Randone. L ‘ effetto jet prodotto dalla violenta fuoriuscita in avanti di sangue e cervello (come ha rilevato uno studio del Premio Nobel 1968 per la Fisica Luis Alvarez), unito alla decerebrazione con conseguente irrigidimento dei muscoli dorsali, provoca un brusco movimento indietro della testa di Kennedy, già inclinata, dopo il primo sparo alla spalla, verso sinistra, dove siede Jacqueline. Gli agenti sul sedile anteriore, il Governatore e sua moglie vengono coperti di sangue e minuscoli frammenti cerebrali, segno evidente che lo spruzzo è andato prima in avanti sotto l ‘ effetto d ‘ uscita del proiettile e subito dopo, in seguito allo scatto indietro della testa, ha investito anche i motociclisti, dietro e a sinistra. Questo è il movimento che, nell ‘ arringa di Garrison/Costner immaginata da Stone, diventa la prova certa di un colpo sparato anteriormente, dal lato destro della strada, ossia dal poggio erboso. Questa convinzione di Stone e di altri complottisti nasce dall ‘ idea, errata, che ogni corpo umano raggiunto da un colpo d ‘ arma da fuoco venga necessariamente spinto nella direzione opposta rispetto alla fonte dello sparo. In balistica, tuttavia, esiste una casistica così ampia di traiettorie, effetti, rimbalzi, velocità, calibri, ossa e muscoli colpiti, che è molto difficile stabilire un principio generale per prevedere quali movimenti compia un corpo umano vivo raggiunto da proiettili di fucile militare. “Ogni proiettile – scrive Norman Mailer – e la ferita da esso provocata hanno caratteristiche assolutamente uniche, come un ‘ impronta digitale o una firma”. Il dottor Michael Baden, ex-medico legale della città di New York, uno dei nove periti dell ‘ House Select Committee of Assassinations nel 1978, ha confermato che non si può prevedere come reagisce una persona quando viene colpita da un proiettile. In Italia abbiamo esempi di persone colpite alle spalle e cadute verso la provenienza degli spari: l ‘ 11 gennaio 1944, a Forte S. Procolo di Verona, vengono fucilati Galeazzo Ciano e altri gerarchi fascisti, condannati per alto tradimento dal Tribunale Speciale della Repubblica Sociale Italiana. Benché seduti a rovescio su normali sedie, di spalle al plotone, tutti cadono sulla schiena. Il 28 aprile 1945, a Dongo, il partigiano “colonnello Valerio”, alias Walter Audisio, fa fucilare alla schiena sedici gerarchi fascisti. Nel pomeriggio i condannati vengono schierati sul lungolago, in piedi, non legati: quasi tutti, dopo la raffica (come mostrano le foto) cadono indietro. Il 29 aprile 1945 un plotone di partigiani fucila a Milano, in Piazzale Loreto, l ‘ ex segretario del Partito Nazionale Fascista Achille Starace: in piedi, senza sostegni, con le spalle al plotone, cade indietro quando è raggiunto dalla scarica delle armi. Un caso più recente riguarda l ‘ assassinio dell ‘ ex-presidente delle Ferrovie dello Stato, Ludovico Ligato, ucciso a Reggio Calabria il 27 agosto 1989: raggiunto da trentaquattro colpi alla schiena, è ritrovato supino davanti alla porta di casa. Nel 1943 il carabiniere Salvo D ‘ Acquisto, fucilato al petto da un plotone nazista, cade in avanti.

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  • 28 Novembre 2013 in 13:58
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    … Chi crede nel complotto ritiene colui che invece ritiene idoneo quanto stabilito dalla C.W. un ingenuo, ma non si rende conto che purtroppo l’ingenuo è lui.. Vorrei aggiungere una considerazione: in assenza del filmato Zapruder tutte le varie tesi sul complotto non avrebbero mai trovato il minmo sfogo.. Ma è proprio questo il punto, il filmato, se analizzato bene, come fatto da Ferrero, ne dimostra proprio l’inesistenza.. Una cosa in particolare a me personalmente ha definitvamente convinto (qualche anno fa) dell’eccellente bontà del lavoro svolto su questo sito: analizzare solo quello che si vede, il resto, mafia, cia, servizi segreti, cuba.. è cinema.. prima ci se ne rende conto e prima si smette di sentirci stupidi..

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  • 28 Novembre 2013 in 13:48
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    Si è mai pensato di porci una domanda? Un complotto di tali dimensioni avrebbe permesso ad un neanche tanto ben mimetizzato cineoperatore di fornire al mondo una prova visiva dell’accaduto? Mi riferisco ovviamente al filmato di Zapruder.. Ovviamente è una congettura, però credo che già che c’erano (ed erano in molti a sparare quel giorno no?!….) una fucilata anche a colui che stava riprendendo l’attentato avrebbero potuto riservarla.. Tanto per eliminare qualche prova intendo.. O forse avevano già previsto che il colpo fatale avrebbe portato il presidente a muovere la testa indietro/sinistra e questo fatto avrebbe da solo escluso l’ipotesi di un complotto.. sebbene l’attuale tesi complottista continui a sostenere il contrario.. Io credo che il dott. Ferrero forse non sia stato in grado di ottenere tutte le risposte, ma di una cosa sono ormai convinto: chi crede all’innocenza di Oswald e ad un complotto o è un romantico o è un ignorante, probabilmente entrambe le cose..

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    • 21 Aprile 2014 in 23:29
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      Le chiedo perché il film di Zapruder non é stato visibile per 5 anni e perché non é stato utilizzato dalla commissione Warren..

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      • 25 Aprile 2014 in 12:12
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        perché, insensatamente, fu fatto acquistare alla Time-Life Corporation che se lo tenne per anni nascosto in un caveau. tuttavia, il volume 18 dei materiali probatori della commissione Warren usa e riproduce 158 fotogrammi del filmato di Zapruder. la circostanza più assurda è che proprio l’analisi del film di Zapruder avrebbe aiutato la commissione a difendere la propria tesi dell’assassinio solitario alle spalle del corteo. ai tempi, invece, molti credevano che quel nastro recasse la prova di uno sparo frontale.

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  • 28 Novembre 2013 in 1:38
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    i fatti dicono anche che il calcio sia sostanzialmente uno sport pulito, mica quei bari sporchi e cattivi dei ciclisti…
    Oppure sempre questi fatti ci dicono che tutti i tennisti spagnoli professionisti colmi di allori e ottimi posizionamenti ATP degli ultimi 15 anni ad oggi 28 novembre 2013, tolto la Vives, siano puliti.
    I fatti ci dicono che chi giocava sporco tra i professionisti dell’amata palla di feltro in questi anni duemila erano riconducibili nella stragrande maggioranza a una nazione sola, l’Argentina…
    Personalmente ho sempre nutrito dubbi enormi con chi, di volta in volta, gli argentini fattivamente dopati li batteva.

    Eppure il dottor Fuentes ha detto che lui coi tennisti e calciatori ci ha lavorato eccome e solo la deontologia professionale gli eviterà di farne il nome, per dire rimanendo ad argomenti cari…
    Eppure Del Moral sporca, imbroglia solo quando lavora(va) con Lance Armstrong, ma i fatti dicono sia pulito con tutti gli altri e le altre clienti…

    I fatti, ogni fatto, ha il grave difetto che per conoscerlo deve essere raccontato, veicolato da persona umana.

    Questo spazio web trovo sia fatto veramente bene, fatti, riflessioni, spunti di cui non avevo mai sentito o avevo sentito solo informazioni superficiali. La ringrazio molto Federico di questo. Eppure più ne leggo, più mi convinco che è una delle tante storie di potere con proprio nulla di lineare e con molti aspetti oscuri, volutamente annebbiati.
    L’elenco assai lungo delle morti degli anni sessanta e primi settanta mi impressiona quanto le morti in Italia nelle vicinanze di Andreotti e Sindona, oppure le più recenti in Telecom. Mi ha colpito terribilmente, più di ogni altra sezione letta finora. Giungiamo a conclusioni e considerazioni diverse 🙂
    A proposito quando Zapruder muore il filmato è già integralmente di dominio pubblico o l’originale non risulta ancora privato/segretato per qualche anno?

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  • 24 Novembre 2013 in 0:56
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    ma questo è per caso l’Attivissimo fan club? Mi sembra che di balle spaziali, e tante, se ne siano dette a iosa su queste pagine……..onestamente, non so proprio perché dopo i primi 2 minuti abbia continuato a leggervi, visto e considerato che, fin da subito, si è capito dove volevate andare a parare……………vergognosi!!!

    Rispondi
    • 24 Novembre 2013 in 18:17
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      questo sito è nato apposta per raccogliere interventi illuminati di intelligenze superiori, come la sua. grazie per aver lasciato un segno del suo passaggio!
      FF

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      • 10 Luglio 2014 in 13:15
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        Quando si parla dell’omicidio di JFK, a mio avviso si fa un errore grossissimo: non si mette mai in relazione l’altro omicidio del fratello Bob, anche lui finito allo stesso modo guarda caso per mano del solito pazzo. Due su due è molto difficile che sia stato frutto di casistica e coincidenze soprattutto a quei livelli di potenza politica. Noi viviamo in un paese dove di porcherie ne abbiamo viste tante e anche peggiori, senza che nessuno mai abbia pagato realmente per le proprie malefatte. Forse è proprio per questo che la gente pensa a male quando succedono certe cose. Escludere categoricamente che i fratelli Kennedy possano essere stati uccisi per altri motivi, secondo me è azzardato.

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  • Pingback: JFK, i tre spari che cambiarono la storia - Pagina 2

  • 7 Settembre 2010 in 17:05
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    Gentile Dott. Ferrero,

    innanzitutto devo congratularmi con Lei per l’analisi e l’eccellente lavoro che sta dietro a questo sito.
    Posso annoverarmi anch’io, sebbene da pochi giorni, nella schiera dei complottisti pentiti, essendo stato vittima più che altro dell’opera di Stone, ma in fondo anche di quel “chiacchiericcio popolare”, che da sempre accompagna questa pagina di storia.
    A dire il vero, il mio momento di lucidità è arrivato solo poche decine di ore fa, in conseguenza della visione del documentario “In the target car”, dove la tesi della pallottola magica viene indubbiamente sfatata (obiettivo del resto raggiunto anche dalla Sua analisi di cui sopra).
    Quel che però rimaneva per me ancora da chiarire era il movimento (indietro e a sinistra) di Kennedy, forse il più forte elemento della tesi cospirazionista. Le confesso infatti che la mia impressione è che il jet effect possa essere un argomento piuttosto debole per giustificare il repentino movimento del Presidente (può tale effetto essere così potente da annullare e persino superare il momento che il proiettile imprime alla scatola cranica nell’impatto?).

    Poi, riguardando più volte la sequenza del terzo sparo, qualcosa di diverso ha finalmente colpito la mia attenzione:
    – il Presidente, appena prima del colpo mortale, è piegato in avanti in virtù del dolore alla gola, che gli crea un visibile irrigidimento della muscolatura (reazione tipica in condizioni di acuto dolore fisico); possiamo infatti notare che mentre egli è ricurvo in avanti, il suo corpo è anche sollevato dal poggiaschiena dell’auto, in una condizione di forte stress muscolare;
    – in conseguenza dello sparo, si assiste prima al sussulto delle membra, e poi ovviamente al collasso del corpo, per la repentina mancanza dell’input cerebrale alla muscolatura, che fino a quel momento era appunto mantenuta in forte tensione.

    E qui arriva il punto che vorrei portare alla Sua attenzione di esperto del caso: è possibile che tra la miriade di indagini (ufficiali e non) non sia mai stata portata all’attenzione degli inquirenti la possibilità che quel movimento – indietro e a sinistra – fosse in realtà PRINCIPALMENTE dovuto alla reazione ultima del sistema nervoso di Kennedy? Insomma, la prevedibilità nel movimento di un corpo quando l’input nervoso viene a mancare non mi sembra cosa facile, né con la scienza balistica, né tanto meno con la fisica delle forze in gioco.
    Tutti facciamo uno scatto quando picchiamo un ginocchio contro uno spigolo, e non è detto che lo faremmo sempre nella stessa direzione, poiché è pura ed imprevedibile reazione nervosa quella che governa le azioni di risposta immediata del nostro organismo.
    Infatti, anche il braccio destro di Kennedy sussulta al momento dell’impatto, ma per questo nessuno ha mai suggerito (almeno finora, grazie a Dio!) che una pallottola potesse aver colpito contemporaneamente il braccio, dal basso verso l’alto, per giustificarne il movimento.
    Certo, il corpo è repentinamente scattato a sinistra e indietro, ma ne farei una questione di casistica, più che di fisica (che vuole includere sia le tesi dello sparo dal davanti, che tirano in ballo Newton, sia l’effetto jet): avrebbe potuto scattare in avanti, o a destra, con la stessa probabilità, semplicemente perché la reazione muscolare dovrebbe essere considerata come imprevedibile.

    Mi lasci in ultimo chiarire che non è mia intenzione screditare la Sua (e probabilmente anche di altri esperti di balistica) tesi che l’effetto jet fosse la causa prima di quel movimento.
    Il mio obiettivo è solo quello di portare alla Sua attenzione la meraviglia che mi ha colpito, per il fatto di non aver mai incontrato questa semplice spiegazione “neurale” in tutta la mole di documentazione che ho consultato in rete in questi giorni.
    La domanda finale in sistesi è: Lei mi sa dire che questa variante sia mai stata considerata in sede di analisi?

    La ringrazio in anticipo per la risposta.

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    • 9 Settembre 2010 in 17:06
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      caro Claudio, grazie per il suo intervento. ciò che lei dice è condivisibile ma non una novità: in effetti, come lei suggerisce, il coinvolgimento del sisetma neuromuscolare può senz’altro essere stato alla base dello scatto del presidente dopo lo sparo fatale o, comunque, aver concorso all’evento. lo shock del sistema nervoso colpito nel suo ‘cuore’, il cervello, può senz’altro aver dato un impulso tradotto in movimento ‘a scatto’ del capo. tuttavia è difficile escludere la potente eiezione di sangue, tessuti e materiale cerebrale per la forte pressione creata dal passaggio del proiettile. insomma, sicuramente quella che lei nota può essere stata una concausa, quantomeno.

      per la posizione di JFK precedente lo sparo alla testa: tenga anche conto del fatto che il presidente indossava un busto ortopedico, al momento della sparatoria.

      grazie e a risentirla
      FF

      Rispondi
    • 1 Febbraio 2014 in 20:24
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      Ma fra tutte le belle cose che vengono dette qui a sostenere Oswald come l’unico che ha sparato, mi ciedo se nessuno è andato a leggersi i giornali dell’epoca sulle dichiarazioni fatte dai medici all’ospedale Parkland sulla direzione presunta dei proiettili?

      Rispondi
      • 2 Febbraio 2014 in 16:39
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        certo che le dichiarazioni dei medici del Parkland Hospital, su tutte quella del dottor Malcolm Perry, sono state vagliate, senza bisogno di ricorrere ai giornali dell’epoca. trova tutto qui, nel paragrafo intitolato “la conferenza stampa dei medici di Dallas”.
        un consiglio per la prossima volta: usi il motore di ricerca nella homepage.
        saluti,
        FF

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  • Pingback: Copia carbone: l’inchiesta Plumley :

  • 14 Gennaio 2010 in 3:25
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    C’è una confessione o presunta tale dell’uccisione di Kennedy di James Files, che sostiene di aver sparato dalla collinetta quasi nello stesso istante di un altro cecchino che sparava dal sesto piano.
    Ci sono video su youtube e tesi sostenute da un certo Mazzucco nel libro l’altra Dallas.
    Mettendo su gogle
    kennedy youtube confessione
    si possono trovare video a link a questa ipotesi.
    Che ne pensa l’autore di questo sito?
    Credo che sia giusta cosa considerare questa possibilità e indagare, essendo una presunta confessione.

    Rispondi
  • 4 Gennaio 2010 in 11:07
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    Quello che trovo incredibile è che la gran parte del pubblico sia ancora fermo a convinzioni preistoriche: il colpo da davanti perché la testa va all’indietro, la pallottola magica, il fucile di Oswald scrauso. Secondo me la tua posizione ha solo un punto debole: quello che ti “schiera” con il governo, rendendoti meno simpatico al lettore “medio” che ti pensa servitore dei potenti.

    Ciò che è indiscutibile è la tua serietà e bravura argomentativa: troppi cialtroni e/o analfabeti affollano il web e la tv…

    G.

    Rispondi
    • 4 Gennaio 2010 in 14:01
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      lo so bene: ma io non sono né pro né contro “il governo” (pur non avendo mai condiviso le politiche repubblicane) e credo di averlo dimostrato in più occasioni. cerco di restare ai fatti e di verificarli.
      prima si stabilisce cosa è successo, poi si cerca un perché. se il “cosa” dimostra che Oswald è unico colpevole è inutile chiedersi “chi” possa aver avuto interesse a uccidere Kennedy: al più possiamo pensare a chi abbia avuto da ringraziare Oswald.

      Rispondi
  • 2 Gennaio 2010 in 21:56
    Permalink

    Federico, ti leggo spesso e trovo che la tua penna sia di grandissimo talento. Anche io non sapevo della tua passione per il caso di Kennedy e anche se credevo oro colato il film di Oliver Stone la tua ricerca mi ha messo davvero in crisi. Grazie per avermi dato gli strumenti per pensare con la mia testa e non quella di Stone!!

    Rispondi
      • 3 Febbraio 2022 in 20:46
        Permalink

        Salve, mi chiamo Francesco, ho cercato in questo sito di affascinarmi con quanto squisitamente complicato è  il lavoro di chi ricostruisce i fatti dalle prove e quanto entusiasmante lavoro sia stato svolto dai redattori a cui faccio i miei complimenti.

        Vorrei esporre solo una domanda su una mia curiosità,

        Il proiettile ritrovato sulla barella del Governatore Connally, mi chiedevo, è caduto da solo dalla ferita del governatore perché parzialmente conficcato nella coscia?

        Potrei avere qualche link dove leggere cosa si sa su questa pallottola?

        Grazie per l’attenzione.

        Rispondi

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