Un tragico weekend di pazzia (by History Channel)

History Channel sta trasmettendo, con parecchi mesi di ritardo sul canale statunitense e dopo una “prima” italiana in estate al Roma Fiction Fest, il documentario JFK: three shots that changed America.

 

 

Un orologio scandisce il tempo che separa dall’attentato in Dealey Plaza e si entra lentamente nell’atmosfera della visita presidenziale: si mostra un’intervista al sindaco di Dallas Earle Cabell (con fuorionda per una ‘papera’ del giornalista), in cui gli si chiede conto delle recenti contestazioni rivolte all’ambasciatore delle Nazioni Unite Adlai Stevenson. E le immagini passano sull’episodio, con Stevenson centrato in testa da un manifesto mentre un uomo gli sputa addosso. “Potrebbero anche esserci dei picchetti, alcuni di rappresentanti dell’estrema destra e altri forse dell’estrema sinistra; tuttavia, onestamente, non abbiamo notato alcun problema”. Anche il capo del distretto Jesse Curry, che di lì a poche ore diventerà famoso in tutto il mondo, assicura che non succederà niente di simile durante la visita di Kennedy.

Lunghe carrellate e interviste al pubblico in attesa di JFK introducono l’atterraggio dell’Air Force One all’aeroporto di Love Field, dopodiché si passa alla copertura televisiva, da parte dell’emittente WPAB, della colazione presidenziale nella Grand Ballroom dell’Hotel Texas a Fort Worth. Un coro di voci bianche intona l’inno nazionale texano.

Mentre si attende l’atterraggio del volo è interessante seguire, da riprese amatoriali, la preparazione del corteo. Così come si vede Kennedy violare tutte le procedure di sicurezza: non se la sente di lasciare la folla nell’aeroporto senza salutarla. Così fa la moglie Jacqueline, accolta con particolare calore dalle donne. La fase dell’assassinio ricalca piuttosto fedelmente The Lost JFK Tapes, con la stessa scelta di non mostrare le immagini arcinote di Abraham Zapruder ma il prima e il dopo, dedicando particolare attenzione per ciò che accade fuori dal pronto soccorso del Parkland Hospital.

Decisamente interessante è la ‘”caccia all’assassino”: vengono mostrati video filmati dalla polizia, direttamente da alcune loro gazzelle, con l’audio originale delle comunicazioni (dispacci) della centrale di Dallas, che dà una prima, sommaria descrizione del cecchino basata su quel poco o nulla che si può essere visto dalla Dealey Plaza. Si cerca un tizio di circa trent’anni, magro, sul metro e ottanta, circa 75 chili (Lee Oswald rispondeva a queste caratteristiche, circostanza che fu ritenuta ‘sospetta’ dai teorici del complotto perché nessuno ebbe la possibilità di studiare con attenzione Oswald alla finestra del deposito dei libri, al più ci fu chi gli rivolse un’occhiata casuale). Alla chiamata risponde anche l’agente Tippit, che è lontano dal luogo della sparatoria (eppure, di lì a poco, verrà ucciso da Lee Oswald). Si può riascoltare la voce di Domingo Benavides, l’uomo che assistette all’esecuzione del poliziotto e usò la sua radio per avvertire la polizia dell’assassinio appena avvenuto. I filmati, dilettantistici e non, delle prime ore dopo l’attentato si mescolano agli studi televisivi che commentano la morte di Kennedy, la cui certezza si fa strada col passare del tempo.

L’atmosfera si fa cupa e rallenta, dopo l’allegra vivacità della prima parte e la concitazione nell’immediatezza degli spari. Viene
mostrato uno spezzone della conferenza stampa dei medici di Dallas, che provano a dare una prima spiegazione sulla dinamica dei fatti. In particolare si ripropone il dottor Robert Shaw, ottimista sulle possibilità di recupero del governatore Connally. Secondo Shaw “la sensazione è che, siccome Connally era seduto ed è stato colpito da dietro, il tutto (cioè le cinque ferite sul corpo del governatore) sia stato causato da un solo proiettile”. Il documentario avvicina le esequie del presidente alternando immagini di Washington, dove la salma di JFK è rientrata, alle riprese fatte nei corridoi della stazione di polizia di Dallas, dove è ancora detenuto Oswald. Passa il fucile, passa Oswald. Soprattutto si può ascoltare l’audio dei cronisti, che poco a poco costruiscono con precisione le informazioni: sul nome del sospetto, sul nome e sul calibro del fucile. All’inizio gli errori e le imprecisioni si accavallano, e tutto ciò costituirà la materia per creare le più disparate teorie della cospirazione). Un raro filmato dell’affittacamere di Oswald, Earlene Roberts, ci mostra una signora piuttosto avanti con gli anni che racconta il passaggio a casa di Oswald tra l’assassinio di Kennedy e quello di Tippit. Il capo del dipartimento di polizia Jesse Curry non riesce a contenere l’assalto dei cronisti, che fumano, bevono caffè, si addormentano nelle stanze del distretto di polizia. Curry si confonde, dà informazioni imprecise, si corregge, è ostaggio dei microfoni che lo assediano non appena prova a uscire dalla sala interrogatori. Il caos di quelle ore, con fuga di notizie non controllate, è palese. Il documentario si chiude con le immagini in contemporanea del feretro del presidente che lascia la Casa Bianca per l’ultima volta mentre Oswald, appena colpito da Jack Ruby durante il trasferimento dalla stazione al carcere della contea, viene portato al Parkland Hospital. Uno spettatore viene intervistato da un cameraman: crede che, alla fine, abbia soltanto avuto ciò che meritava.

In definitiva il lavoro di Seth Skundrick e Nicole Rittenmeyer presenta somiglianze evidenti con i lost tapes di Tom Jennings. La tecnica dell’orologio che scandisce il tempo è la medesima che i due hanno utilizzato per l’altro loro lavoro di un certo rilievo, 102 Minutes That Changed America, dedicato agli attentati dell’11 settembre 2001. E asseconda la new wave dei lavori dedicati al caso Kennedy: stop alle ricostruzioni del crimine, spazio alla rievocazione il più possibile vicina al succedersi degli eventi: per vivere il panico di quelle ore e, forse, capire senza il bisogno di prove balistiche che il tutto fu un tragico weekend di pazzia umana, non certo un colpo di Stato senza mandanti e senza esecutori.

Del resto, pur senza essere palese la presa di posizione, la scelta dei registi sottende una verità: vi raccontiamo quello che accadde da venerdì 22 a domenica 24 novembre proprio perché non c’è niente da raccontare prima, niente da spiegare dopo.

Un pensiero su “Un tragico weekend di pazzia (by History Channel)

  • 4 Maggio 2016 in 15:50
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    Si l’ho visto anch’io molto ben fatto fa riviere quelle ore drammatiche con formidabile attualità, però non capisco cosa significa la sua considerazione finale anche perchè le immagini girate in quelle ore al di la degli avvenimenti non possono dare delle prove che Oswald abbia agito da solo o meno, sono comunque immagini dei primi momenti dopo l’assassinio e sono le stesse messe in sequenza cronologica che poi si possono trovare sparse ovunque sulla rete, e molte conosciute da anni, non credo al di l’ha del film di zapruder che siano state mai prese come oggetto di prova per dimostrare il fatto che Oswald abbia agito o meno da solo.

     

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