Vita, fine e misteri di Jack Ruby, l’assassino di Oswald
Se una certezza, sulla vicenda Kennedy, si può raggiungere, riguarda l’omicida di Lee Oswald. Jack Ruby assassinò Lee Harvey Oswald in diretta tv, domenica 24 novembre 1963. Se Ruby non avesse deciso di eliminare Oswald, o se Oswald fosse sopravvissuto all’attentato, la storia dell’omicidio Kennedy non sarebbe quella che oggi conosciamo: Oswald sarebbe stato processato e rinchiuso in carcere, a vita; nei decenni a venire, chissà, avrebbe tentato di fornire versioni dei fatti utili alla sua scarcerazione, un po’ come il killer di Bob Kennedy, Sirhan Sirhan. Invece, l’atto criminale di Jakob Rubenstein, per tutti Jack Ruby, ha contribuito in maniera determinante a sollevare un polverone mai dissipato di dubbi, illazioni, ipotesi e fantasie: i due erano complici, i due erano amici, Ruby era un cospiratore, Ruby fu pagato dalla mafia per uccidere Oswald.
Jack Ruby nasce nel 1911 a Chicago da una famiglia ebrea, tutt’altro che benestante. Il padre, Joseph Rubenstein, è un emigrato polacco nato a Sokolov nel 1871 e trasferitosi negli Stati Uniti 1903 come carpentiere; la madre, Fanny, è nata a Varsavia nel 1875 e sino al 1904 rimane in patria con i due primi figli nati dal matrimonio, Hyman e Ann. Cresciuto dalla strada e trasferito presto in una casa di tutela minorile, Jacob abbandona presto la città natale per girovagare nelle metropoli di Los Angeles e di San Francisco, in cerca di fortuna.
Fortuna che non trova mai: si arrangia con lavoretti precari, organizza bische clandestine (specialità che lo vedeva eccellere anche durante il servizio militare), si dedica al bagarinaggio nei pressi di manifestazioni sportive, si distingue come ragazzo iracondo e tendente a risolvere le questioni con le mani.
Alla fine del secondo conflitto mondial, Jack ha più di trent’anni ma non ha trovato un mestiere: si aggrappa quindi alla sorella Eva, che apre un locale notturno a Dallas. Spesso si è parlato di Ruby come di un mafioso ma oggi, alla luce delle le indagini svolte sul suo conto e di tutte le operazione condotte contro Cosa Nostra negli Stati Uniti, si è chiarito che un personaggio come Ruby mai ha avuto rapporti con i “padrini” (anche se avrebbe voluto intesserne in quantità) per il semplice fatto che nessuno si fidava di lui: volubile, incapace, pettegolo, mitomane, non c’è uomo della mafia che avrebbe affidato incarichi a un tipo come lui. Non è un caso che mai il suo nome è spuntato in uno solo dei processi condotti a carico delle famiglie mafiose in America.
L’attività di Ruby vivacchia: il suo locale, il Carousel Club, è frequentato da gente malfamata e da numerosi poliziotti di città, cui Jack offre ingressi, tavolini, borriglie di alcolici e spettacoli gratuiti. Con una continua spola tra gli uffici della polizia e le redazioni dei giornali locali, Ruby spera di crearsi una “rete” di conoscenze influenti, convinto com’è di essere un grande imprenditore. La vita di Ruby prende una piega inaspettata nel tragico weekend di Dallas di fine novembre 1963. Ruby è nella redazione del Dallas Morning News, sta dettando una pubblicità per il suo locale quando Kennedy viene ucciso (circostanza che smentisce i teorici della cospirazione che lo vorrebbero piazzare in Dealey Plaza al momento degli spari, a coordinare la sparatoria) e la notizia piomba come un masso nella stanza. Jack è sconvolto: chiama la sorella, decide di non aprire il locale quella sera e (anche se non vi è certezza su questo punto) pare si precipiti al Parkland Hospital, per capire cosa fosse successo o, come molti suoi conoscenti in seguito racconteranno, perché non sapeva stare lontano dall’azione, dai luoghi in cui capitava qualcosa.
Due sorelle di Ruby raccontano la sua angoscia: Ruby straparla, piange, maledice Oswald, glorifica il presidente e la povera moglie Jacqueline; ricorda l’annuncio, da poco letto sul Dallas Morning News e pubblicato da un’associazione di destra, che insultava pesantemente JFK e teme (chissà perché) che la colpa dell’omicidio venga fatta ricadere sugli ebrei. Va alla stazione di polizia, si intrufola tra i giornalisti, dà consigli ai reporter e li rifocilla con una sporta di panini, racconta a tutti il suo strazio per quanto è successo e per le conseguenze che, secondo lui, il gesto di Oswald avrà sulla comunità ebrea. L’assassinio di Kennedy scatenò in Ruby, e lo ammise anche la sorella che aveva tutto l’interesse a difenderlo, una reazione disperata: “Jack era sconvolto, mi disse che non si era sentito così distrutto nemmeno quando erano morti mamma e papà”. Le parole di Eva Ruby sono confermate dal comportamento di Jack: il sabato mattina Ruby si precipita in centrale fingendosi un giornalista, perché vuole vedere Oswald. Si infila un paio di occhiali e prende in mano un taccuino, dandosi arie da giornalista per sentirsi parte della vicenda. Durante un’intervista al giudice Henry Wade, che aveva appena incriminato Oswald, interviene pure brevemente per correggere il nome del comitato pro-Castro cui apparteneva Oswald. Non ha alcun titolo per stare lì, ma siccome tutti i poliziotti lo conoscevano e il caos in centrale era ai massimi livelli, Ruby è libero di girovagare per i corridoi e le stanze. Durante la conferenza stampa serale di Lee Oswald alla centrale di polizia, accordata dalle forze dell’ordine per placare la sete di notizie mondiale in una situazione di caos indescrivibile, Ruby viene inquadrato da una telecamera in mezzo ai reporter.
La domenica mattina accade l’incredibile. Ruby si sveglia, esce di casa verso le undici con la sua adorata cagnetta Sheba e si reca all’ufficio della Western Union: infatti aveva ricevuto mezz’ora prima la telefonata di una sua spogliarellista, Karen “Little Lynn” Bennet, che aveva bisogno di 25 dollari per pagare l’affitto. Ruby lascia l’animale
nell’automobile, parcheggiata davanti all’ufficio postale, entra e manda il vaglia. L’orario stampigliato sul documento reca il timbro delle 11 e 17 minuti. Appena uscito dall’edificio Ruby guarda in giù nel viale e vede una piccola folla davanti alla centrale. Lee Oswald doveva essere trasferito verso le dieci, ma un ritardo nelle pratiche prima e la volontà di Oswald, poi, di farsi riportare un maglione prima di uscire avevano ritardato la sua traduzione nel carcere della contea. Incuriosito, Ruby si avvicina ed entra nel sotterraneo. Si trova davanti un assembramento di cameraman, reporter e cronisti: Oswald sta per essere portato fuori. Anzi, gli passa proprio davanti, non appena prova a farsi strada. Sono le 11 e 21 minuti. Ruby estrae la pistola, che portava spesso con sé, e gli spara urlando: “Hai ucciso il mio presidente, topo di fogna!”.
Nessuna premeditazione, nessun mandante. Solo un perdente disturbato, che compie un gesto assurdo.
La fine di Ruby è squallida come la sua vita e come quell’inutile atto criminale. Viene incarcerato ma si dice sicuro di essere prosciolto: parla con gli agenti confessando di essere felice, di aver dimostrato di essere un ebreo coraggioso, si dice sicuro che la polizia lo avrebbe capito e che la signora Kennedy sarebbe stata felice.
Che Ruby potesse essere un uomo di Cosa Nostra è circostanza assolutamente da escludere. Un po’ perché, in tutte le intercettazioni telefoniche e ambientali di conversazioni tra mafiosi in quegli anni, mai viene citato il suo nome; ma anche e soprattutto perché Ruby sarebbe stato un pessimo malavitoso: chiaccherone, infìdo, sbruffone, aggressivo ma debole coi forti, insomma una persona del tutto inaffidabile. Il procuratore distrettuale di Dallas Bill Alexander, l’uomo che perseguì e fece condannare Ruby all’ergastolo per l’omicidio di Oswald, è categorico: “Incredibile, ma proprio io che l’ho fatto condannare oggi difendo la sua reputazione. Ruby non era un gangster, non era un mafioso: conoscevamo bene i malviventi e lui non era tra quelli. Gli attribuiscono una specie di colpa per associazione: siccome Ruby era amico di A e A amico di B, allora Ruby era amico di B. Queste sono stupidaggini scritte da chi non sa come andavano le cose”.
Assolutamente d’accordo. Nel 1966 un folle emulo di Oswald dotato di un fucile con mirino telescopico salì sulla torre dell’Università di Austin, sempre nel Texas, e fece fuori 15 passanti. Ogni tanto qualche pazzo entra in una scuola o in un centro commerciale e fa una strage. A me a Dallas nel 1993 un armiere offrì una Smith & Wesson 29 calibro 44 Magnum a 300 dollari, come se fossero noccioline. Avrei potuto acquistarla senza problemi, se fossi stato americano.
“Un po’ come il killer di Bob Kennedy Sirhan Sirhan. Ora, capisco che la vostra guerra santa sia quella di difendere a tutti i costi la versione ufficiale marchiati dall’odio verso chi osa porsi qualche dubbio, la vostra innocenza nei confronti della storia è disarmante. Ma definire killer Sirhan quando addirittura il medico legale di Los Angeles Noguchi, definito il coroner delle star (ebbe a che fare con molti cadaveri di celebrità) e uno dei maggiori esperti, ha stabilito UFFICIALMENTE che i colpi mortali siano arrivati da dietro (dalla posizione della guardia del corpo dell’ultimo secondo, poichè quella di sempre venne trattenuta lontana dall’Ambassador, Caesar). si parla di 3 colpi mortali, registrati oltretutto dal famoso audio che è stato analizzato da diversi tecnici del suono i quali sono tutti giunti alla conclusione che i colpi sparati furono più di 8. In conclusione il povero Sirhan non fu assolutamente il Killer, smettetela di mentire a voi stessi, è naturale che nel mondo esistano degli equilibri nevralgici ed un presidente degli stati uniti o un candidato che vuole mettere in dubbio tali equilibri possa venir messo a tacere. Proprio in Italia abbiamo avuto decine di casi del genere vista la forte influenza di mafia, logge massoniche e servizi segreti deviati presenti nel corso della prima repubblica.
In effetti qualche controsenso è in agguato.
Il Ruby, povero ebreo (così si definisce) “entrato” subito in paranoia dopo l’assassinio del presidente Kennedy, e da armargli la mano vendicatrice (per cosa?) subito dopo, beh: ci si può “anche credere” come una vulgata sostiene. Si dice tuttavia che non sia stato il dolore ad armare la sua mano, quanto altri aspetti mai chiariti come ad esempio quel poliziotto, vestito di chiaro in mezzo a tutti abiti scuri, che teneva stretto Oswald e quest’ultimo ben identificabile senza ombra di dubbio. Tale poliziotto, morto in epoca recente, ha passato la vita a sostenere, un giorno si e l’altro pure, che non vi fu complotto: E c’è anche da capirlo dato che i sostenitori del complotto o presunti tali, hanno quasi tutti chiuso in anticipo la loro vita. A distanza di sessantanni, comunque, la verità è tuttora top-secret.
Non è assolutamente vero che “quasi tutti i sostenitori del complotto hanno chiuso in anticipo la loro vita”. Questa è una panzana complottista cui hanno abboccato in tanti ma che non regge alla prova dei fatti. Per esempio, legga l’elenco di “strane morti” (che strane non sono) dopo l’assassinio di Kennedy:
Guardando la foto pubblicata in questo articolo e pensando all’unico dato interessante emerso dalla divulgazione di quasi tutto il materiale secretato sull’assassinio del presidente Kennedy nel 2017, mi chiedo come mai il capo della polizia di Dallas, avvertito dal capo dell’FBI che qualcuno voleva uccidere Ruby, non si sia preoccupato di trasferire il soggetto in maniera più sicura ed evitare che l’unico test dell’omicidio in questione finisse a gambe all’aria?
Quello che dice è vero. Purtroppo, nel 1963 il concetto di sicurezza era un po’ diverso da quello che abbiamo noi. E tutti erano in tilt: la polizia aveva permesso alla tv di stendere i cavi di telecamere e luci lungo i corridoi della centrale. Oggi non ci si crederebbe neanche venisse raccontato dalla polizia stessa.
Si, proprio così, ma le teorie del complotto CIA sono più forti di ogni prova e non c’è niente da fare.
con chi la vuole pensare come lei sì, in effetti non c’è più niente da fare.
concordo
In effetti qualche controsenso è in agguato. Il Ruby, povero ebreo (così si definisce) “entrato” subito in paranoia dopo l’assassinio del presidente Kennedy, e da armargli la mano vendicatrice (per cosa?) subito dopo, beh: ci si può “anche credere” come una vulgata sostiene. Si dice tuttavia che non sia stato il dolore ad armare la sua mano, quanto altri aspetti mai chiariti come ad esempio quel poliziotto, vestito di chiaro in mezzo a tutti abiti scuri, che teneva stretto Oswald e quest’ultimo ben identificabile senza ombra di dubbio. Tale poliziotto, morto in epoca recente, ha passato la vita a sostenere, un giorno si e l’altro pure, che non vi fu complotto: E c’è anche da capirlo dato che i sostenitori del complotto o presunti tali, hanno quasi tutti chiuso in anticipo la loro vita. A distanza di sessantanni, comunque, la verità è tuttora top-secret.
MI SCUSI QUESTA SUA RISPOSTA ERA PER ME O PER FEDERICO FERRERO? Alan1 marzo 2017 in 14:15 Permalink – Finalmente un’ammissione, cia o non cia e impossibile che lei, da persona ragionevole, non si renda conto di dare pesantemente nel torto, non solo per quanto riguarda Ruby e Oswald (entrambi legati a cia ed fbi) ma in dinamica generale, cercare di “accreditare” una versione “ufficiale” che puzzava gia’ all’epoca, ma la gente di allora si beveva di tutto, tutte le balle della televisione, e che ha 52/53 anni di distanza si riesce a vedere soltanto come una ridicola balla colossale, smontata dalle tante evidenze di copertura dei servizi segreti e dalle confessioni dei protagonisti direttamente implicati come quelle di Hunt, Ruby, Files, Marcello, Plumlee, Brown e chi piu’ ne ha ne’ metta, persino il killer materiale ha confessato tutto da 20 anni, e lei si ostina ancora a sostenere la ridicola storiella della commissione warren del fucillotto trovato tra le scatole (evidentemente buttato li apposta dai cospiratori perche’ ovviamente un’omicida serio non lascierebbe in bella vista bossoli ed arma andando a nascondersi in un cinema) sponsorizzata da Johnson, l’ex vice, un massone leccaculo della lobby petrolifera e della finanza sionista che si e sempre distinto per la corruzzione totale.
Una frazione, neanche maggioritaria, ma molto operativa ed efficace del contropotere che circondava John Fitzgerald, congetturo’ e rese efficace il piano di liquidazione di un Presidente molto innovatore dentro il sistema, e molto inviso dagli interessi costituiti.
Quando tutto ebbe effetto, la parte maggioritaria conservatrice (la maggioranza dell’apparato di potere) si affretto’ a coprire l’avvenuto a suo modo, e stendendo la sua capillare e sosfisticata trama di relazioni che sono l’orgoglio di ogni grande stato che abbia la leadership.
Su scala minore, ma non diversa cio’ avvenne anche in Italia, sia con la “strategia della tensione” (x es. la strage della Banca dell’Agricoltura a Milano, 1969. Di cui ancora, ufficialmente non si sa niente nonostante infiniti processi). Sia con l’ Affare Moro (1978) – in cui l’uccisione del leader DC fu operata da un commando di BR incredibilmente capace di colpire al livello piu’ alto- e che cambio’ il corso del compromesso storico tra PCI e DC. Anche li’ una parte minoritaria colpi’, e la parte maggioritaria dello Stato si afretto’ a coprire a e capitalizzare i risultati di quell’avvenimento.
Buongiorno Riparbelli,
Leggo solo ora il suo post.
Anche io altrove ho posto l’accento sulle similitudini fra Dallas / Dealy plaza e Roma / Via Fani.
In entrambi i casi statisti uccisi da dilettanti allo sbaraglio, che parrebbero quel giorno scender in campo unti da Dio ( Citazione ) e per effetto dell’adrenalina comportarsi meglio di militari.
Se il tiro di Oswald lo giudico difficile ma alla portata di molti anche con un Carcano, l’operazione di via Fani mi ha sempre lasciato sbalordito, sotto l’aspetto tecnico e militare.
Lessi che nelle carte dei vari processi Moro venne alla ribalta il nome del Governatore Connely. Risulta anche a qualcuno d’altro?
Le bombe degli anni 60/70 si parlava di esplosivo che i Neo Fascisti veneti avevano prelevato dalle disponibilità di Gladio.
Mi fermo qui per non uscire dal tema.
Mi scuso anticipatamente nel caso
Ma che e’ ‘sta fesseria di articolo. Anche il “rapporto Warren” e’ un po’ piu’ abile in materia. Gli Stati Uniti d’America , soprattutto nella grande architettura del potere e della sicurezza, aveva prodotto sistemi altamente organizzatie testati, che operavano con “successo” sia internamente che internazionalmente, sotto la sfida della Guerra Fredda. Ridurre la storia della FBI, della sicurezza del Presidente, della Cia (ed i suoi importanti rapporti con la Mafia grande e piccola- quest’ultima importantissima pedina ed esecutrice- con cui tramava per spodestare la Cuba di Fidel Castro), ad una cabaret incontrollabile di psicopatici incontinenti e per giunta vincenti; veramente non fa onore al giornalismo, al “sistema” americano, alla sua Way of Life esibita, e soprattutto al lettore. No. Riscrivere tutto e meglio .
dica, secondo lei dovrei rispondere a chi mi dà del fesso e mi invita a riscrivere, come la maestra in prima elementare? faccia la cortesia: torni al bar.
Risposta più che azzeccata, caro Federico
Ha assolutamente ragione, è un paese con molti pazzi (armati) in giro. Su questo concordo perfettamente
Ho letto un po’ di post su questo sito ed è molto ben fatto. Non sono stato un patito del complottismo su questo tema nè del suo opposto. Vidi il film di Stone e poi lessi il libro di Garrison e se li si prende come fiction sono sicuramente appassionanti. La vita poi è una cosa diversa. Tuttavia, leggendo questo post su Ruby mi viene da pensare che l’America di allora (e forse di adesso) fosse piena di psicopatici. Uno uccide il presidente degli Stati Uniti con un piano tutto sommato dell’ultim’ora, un altro decide di ammazzare l’assassino del Presidente decidendo così su due piedi. Insomma, prendiamo tutto per buono, ma è un paese con molti pazzi in giro.